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LA CASA DEI MISTERI di Francesca Arcangeli. Primo livello Bambini. Corso di scrittura on line

LA  CASA  DEI  MISTERI di Francesca Arcangeli

 

Primo Livello Bambini

Corso di Scrittura on-line

 

La chiamavano la casa dei misteri ed era disabitata da molti, lunghissimi anni.
Era sempre stata nota per l’orrenda fine dei suoi proprietari. Era una storia di cui i vecchi abitanti del paesino amavano ancora parlare per impaurire i piccoli e curiosi bambini della zona. La storia racconta che una volta lì ci viveva un duca, con sua moglie e due figli. Poi, una mattina cupa e scura, il giardiniere trovò la moglie e i figli del duca assassinati in salotto: il figlio maggiore quasi incenerito nel camino, la madre stesa sul divano e il più piccolo dei due figli appeso al soffitto. Nessuno sa cosa successe veramente quella notte ma una cosa fu certa: del duca neanche traccia. Nessuno però si stupì più di tanto dato il fatto che la famiglia, recentemente, aveva avvertito strane presenze come mobili che si spostano, oggetti che scompaiono e ricompaiono all’improvviso nei posti più insensati e il solito vento caldo che spostava le tende anche a finestre chiuse. La famiglia insomma aveva affermato che la casa era infestata da spiriti malvagi….

Era una fredda mattina di fine ottobre, l’aria era pesante e un leggero venticello pungeva il viso. Avevo sentito tutte le storie su quell’orribile casa ed ero decisa a scoprire cosa si nascondeva là dentro. Era una villetta isolata posta in cima ad una collina, piuttosto diroccata ma ancora visitabile e comunque ci sarei entrata lo stesso anche se il tetto potesse crollare da un momento all’altro. Il muro era scrostato e pieno di edera e in alcuni punti c’erano dei buchi grandi quanto un palmo di mano che la rendevano ancora più inaffidabile agli occhi della gente. I quattro lati della casa erano rivestiti da pietre di diversa grandezza e spessore che, al tramonto, creavano simpatici giochi d’ombra sull’erba verde e dorata tappezzata, qua e là, da un po’di ghiaia bianca e diverse piccole macerie che la casa doveva aver perso con gli anni. Accanto aveva una piccola pianta di uva rossa che si era arrampicata mezza su capanno di legno a cui mancava una parete e dove dentro, una volta, tenevano gli attrezzi da giardinaggio. Infatti all’interno c’erano ancora un vecchio tagliaerba con diversi fili che spuntavano dal manico e si erano ricoperti di polvere e, su un tavolo di legno forato dalle tarme, c’era un antico macete arrugginito che aveva perso ormai tutto il pezzo di lama affilato e, dato che il manico era mezzo rotto, assomigliava di più a un boomerang di ferro. Al lato destro della piccola vigna cresciuta senza riguardi c’era un pozzo fatto di rocce e cemento che aveva sopra un piccolo archetto in ferro battuto avvolto dall’edera secca. Sporgendosi non si riusciva a vedere il fondo infatti si scorgeva soltanto una massa melmosa sotto quelli che sembravano cinque metri d’acqua stagnante. Accanto scorreva un piccolo ruscello proveniente dalla montagna che portava acqua gelida ad un minuscolo laghetto dove sguazzavano piccoli pesci rosso rubino e giallo ocra anche se erano tutti ricoperti di sporcizia e inquinati. Una mal ridotta staccionata di legno con diverse assi mancanti e di un colore marroncino chiaro scolorito dal tempo e dalle intemperie, circondava il tutto rendendo il posto, se possibile, ancora più malandato. Dietro la casa c’era un giardino dall’erba mal curata e un enorme quercia secolare con foglie gialle e quasi spoglia. La sua corteccia era ruvida e in alcuni punti scavata dal tempo. Doveva essere lì da molto più tempo della casa perché era alta più o meno quattro metri e con lunghi rami grossi e pesanti. Una piccola stradina di sassi portava ad una poco rassicurante porta con i vetri rotti. La tintura viola era scolorita e al suo posto era comparso il legno forato; << non entrare>> diceva una vocina maligna i un sussurro come per mettermi paura, << sei arrivata fin qui, che senso ha tornare indietro? Entra!>> questa voce era più calda e rassicurante e così raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo, girai la vecchia maniglia di ferro arrugginito e, con un cigolio inquietante, entrai.
Davanti a me c’era un piccolo corridoio fatto di tavole di legno. Esse erano di un marrone terra sbiadito e corrose dalle tarme e dal tempo, umide e rotte. Davanti a me c’era una scala a chiocciola con il porta mano in ferro scolorito dalla sua tintura bianca originale. Un vecchio tappeto logoro e sporco le saliva tutte accompagnato dai suoi buchi. Al centro, proprio sopra di me, i resti di un vecchio lampadario fatto a fiore con diverse striscioline di diamanti che pendevano sul punto di staccarsi completamente. Dietro la scala a chiocciola c’era una porta bianca con diverse macchie ed una maniglia arrugginita che un tempo era tinta d’oro. Decisi di iniziare dal piano terra e così aprì quella porta. Era una vecchio bagno. Il wc era rotto e scheggiato ma un tempo doveva essere di una ceramica costosa. C’era un antico lavello di marmo bianco, sporco ma ancora intero. I pomelli erano ricoperti di polvere e arrugginiti tanto che non si potevano più muovere. Sul pavimento c’erano diverse piastrelle rotte e di alcune non ce n’era proprio traccia in modo da mettere il suolo terroso in bella vista. Una piccola doccia era davanti al wc ma i vetri che la contenevano erano andati in frantumi e mancavano diverse mensole porta-sapone. Richiusi la porta e decisi di oltrepassare l’arco accanto al lampadario. Mi ritrovai in salotto. Era una stanza grande ed abbastanza accogliente. I muri erano di un colore giallo acceso ma scolorito e diverse lampade ad olio erano poste su dei tavolini di legno rotondi e corrosi posti ai lati di un bel divano arancione con della gommapiuma che spuntava dai braccioli e dei buchi nell’involucro ruvido. Davanti c’era una camino ben lavorato di pietre scure che spiccava per il suo comignolo a punta fatto di pietre arancioni. Era però scalfito, rotto e coperto da un centimetro di polvere (come tutto in quella casa) che lo rendeva inquietante e isolato. Al centro, sopra un bel pavimento fatto di tavole di legno logore e sudice, si trovava un tappeto azzurro pieno di buchi e con i disegni dorati scoloriti dal tempo. Dal soffitto pendeva un enorme lampadario di cristallo a forma rotonda. Le lampadine erano rotte ma la maggior parte era caduta a terra formando piccoli pezzi di vetro taglienti che riflettevano la luce del sole. Passando per una vecchia porta di cui era rimasto solo qualche pezzo di legno qua e là, c’era la cucina. I fornelli erano rotti e minuscoli pezzi di ferro arrugginito erano davanti. Doveva aver preso fuoco perché l’interno era nero e pieno di fuliggine e diverse pentole erano state cappottate sopra anche queste completamente nere. Il tavolo era bucato dalle tarme e al centro della cucina. I gambi erano lavorati finemente anche se adesso ne mancava uno che era sdraiato sul vecchio pavimento freddo e umido di marmo nero. Sopra un vecchio lavandino rotto senza un pomello d’argento c’era una credenza per i piatti, anche se dentro era rimasto solo un bicchiere di vetro sporco e macchiato. Accanto si trovava un cofanetto bianco e rotto il cui sportello si muoveva ritmicamente. Un momento: lo sportello si muoveva! Tornai a guardarlo e questo si fermò di colpo. Poi iniziò ad accendersi e spengersi una lampada ad olio vicino ad un vecchi mobile di legno di noce che già traballava. D’un tratto ogni cosa si fermò e iniziò a fare freddo, il freddo aumentava. La brina si stava posando sul vecchio frigorifero rotto. Poi un fischio assordante riempì la stanza e a questo punto volevo solo scappare. Iniziai a correre versò la scala a chiocciola e dalla fretta di salirla inciampai in due gradini rotti finendo con una gamba incastrata mentre con una mano mi reggevo al tappeto. Arrivata in cima il fischio cessò. Che cosa poteva essere stato? Una cosa era certa: quella casa non era normale. Prima finivo di ispezionarla meglio era!
mi trovavo in un lungo corridoio con il soffitto arrotondato e pieno di disegni che raffiguravano angeli nel cielo coperti di nastri e fiocchi ma era anche tappezzato di porte. Davanti ad ognuna c’era una lastra di legno più chiara di quelle con cui era ricoperto il pavimento che serviva forse come piccolo scalino. Entrai nella prima: era una camera con il letto a baldacchino. Le lenzuola erano di un color violetta chiaro che stonava alquanto con il muro giallo canarino. I cuscini erano sparsi sul vecchio pavimento bucato e i pezzi di vetro del bellissimo lampadario e delle lanterne riflettevano la luce del sole che passava dalla finestra e che si stava affievolendo sempre di più. dovevo fare in fretta era già inquietante stare lì di giorno, figuriamoci di notte. Guardai per l’ultima voltai magnifici comodini di legno di quercia a cui mancavano diversi gambi e mi chiusi la porta alle spalle. Passai alla seconda stanza: era più piccola e il letto a una piazza aveva le coperte azzurrine e i muri blu notte, il tutto, naturalmente, rotto e sporco. Diverse mensole erano piene di macchinine rotte e bambole aperte a metà. Un piccolo comodino regnava sovrano accanto al letto e sopra c’era un lampada bianca. Le finestre erano assenti come i cuscini e, su una scrivania vecchia e logora, c’era un mappamondo con accanto diverse penne senza inchiostro. Un vecchio lampadario giaceva a terra con tutte le perline sparse per la stanza. Lasciai quella stanza e mi diressi verso la terza e ultima porta. Dentro c’era un box con le coperte giallo ocra e i muri tinti di un azzurro confetto davano l’idea che quella fosse una stanza per bambini. Alla destra del letto si trovava un vecchio cavallino di legno e una confezione di caramelle di cui era rimasta solo la carta. Una piccola lanterna penzolava dal soffitto e sembrava sul punto di cadere da un momento all’altro. Una minuscola finestra rifletteva la luce del tramonto dal cima della stanza quadrata. Decisi che la gita in quella casa infestata era finita ma quando feci per uscire si udì un botto secco e tra tantissimo polverume mi trovai davanti una logora scala ridotta proprio male! Aveva quasi tutti i gradini mancanti e, ad ogni passo, produceva un inquietante cigolio come se dovesse schiantarsi da un momento all’altro. Decisi di salirla e mi resi conto che portava ad una soffitta segreta. Dentro c’era di tutto: una vecchia bici senza manubrio, cuscini polverosi, mensole porta-sapone rotte e tantissimi scatoloni impolverati. La luce filtrava da una piccola finestrella in cima al soffitto e bisognava abbassarsi per poter camminare. Poi vidi dei mattoni rialzati come se fossero stati messia a coprire qualcosa e, con un martello dal manico di ferro, cominciai a sfondarli. Penso sia stata la cosa più orrenda che abbia visto in vita mia: un grande scheletro dalle ossa rotte e ingiallite vestito con una cravatta rotta e una giacca blu come i pantaloni tutto pieno di buchi, logoro e sudicio. Non avevo la forza di urlare, ero troppo spaventata. Poi le vidi: quattro ombre che avanzavano verso di me, un uomo, una donna e due bambini uno dei quali era mezzo incenerito. L’uomo parlo con voce possente << non saresti dovuta venire qui, ora scappa finché sei in tempo e non raccontare a nessuno di questa casa e degli spiriti che la infestano>>. Non me lo feci ripetere due volte: iniziai a correre, scesi la scala mentre un fischio assordante riempiva la casa e tutto intorno a me iniziò a muoversi: le porte sbattevano, i lampadari traballavano ma non avevo tempo per stare a guardare. Scesi la seconda scala a chiocciola, oltrepassai il laghetto, il pozzo, la vite e la vecchia staccionata. Poi, ormai lontana da tutto ciò, una voce mi entrò negli orecchi: << tu devi sapere, sapere la vera storia. Il conte assassinò sua moglie e i suoi figli e poi si uccise da solo. Nascose da morto il suo corpo in soffitta e ora vive e vivrà per sempre con la sua famiglia. Ora sai ma non dire a nessuno ciò che hai visto…>>. La voce scomparve com’era arrivata. Tornai a casa e cercai di dimenticare tutto ma io, solo io sapevo la verità e nessuno avrebbe potuto dire che io fossi pazza perché io avevo visto, io avevo sentito.
La chiamavano la casa dei misteri e, alla luce dei nuovi fatti, era abitata da molti, lunghissimi anni!

LA CASA DEI MISTERI di Adriana Lirathni (racconti dei corsi on line)

LA CASA DEI MISTERI di Adriana Lirathni

Corso bambini – Primo Livello

Eravamo andati in gita scolastica due settimane in Francia, a Parigi, accompagnati da quattro professoresse.

Durante il soggiorno a Parigi, le accompagnatrici ci avevano chiesto quale posto volevamo visitare per cinque giorni e ci proposero vari luoghi: una stramaggioranza, me compresa, votò per Mont-Saint Michel. Così, due giorni dopo il nostro arrivo a Parigi, ci accalcammo di nuovo in un treno piccolo, sporco e puzzolente!

Il treno arrivò a destinazione verso l’una e dopo aver mangiato a sazietà io, Elena, Nicholas ed un altro ragazzo di nome Nicholas soprannominato Rosa di Vento, ci divertimmo un mondo tra schizzi, nuotate e corse sulla spiaggia.

Verso le sei l’aria incominciò a farsi più fredda e la nebbia si faceva via, via più fitta, allora le professoresse ci imposero di vestirci ed asciugarci in fretta, per poi inoltrarci nel cuore della città ed entrare nella hall dell’albergo.

Lì, ci comunicarono che quattro di noi sarebbero dovuti andare a dormire a Mont-Saint Michel accompagnati da due docenti, perché nell’albergo non c’erano più posti: nessuno ci voleva andare, insomma ,quel posto incuteva un certo terrore, poi a quell’ora e con la nebbia…

Alla fine però, Nicholas e Rosa di Vento alzarono la mano, subito dopo si aggiunse la mano di Elena, e, come una reazione a catena, senza che io volessi, si era alzata anche la mia…(in fondo la cosa non mi dispiaceva:noi quattro avevamo passato tutto il pomeriggio a giocare ed eravamo stati bene insieme).

Aspettammo l’alta marea fino alle 19.00; quando arrivò, una barchetta ci venne a prendere, ai remi c’era un vecchietto magro, piuttosto alto, con degli occhialini calcati sul naso e i capelli ricciolini e bianchi; vi salimmo e dopo una mezz’oretta arrivammo a Mont- Saint Michel.

Il vecchietto ci fece da guida tra strette stradine fino ad un’ enorme dimora, poi accompagnò i due docenti per altre stradine, mentre una cameriera aprì la porta della grande casa e ci condusse nelle nostre stanze, che erano linde e pulite, ma incredibilmente tristi, proprio come la villa.

Io ed Elena dormivamo nella stessa stanza, su di un letto a castello e avevamo il bagno in comune, lo stesso era per i maschi, ci facemmo una doccia ed indossammo i pigiami, i calzini e le pantofole, ci lavammo i denti e raccogliemmo i nostri capelli, io in una lunga treccia ed Elena in due simpatici codini.

Ci mettemmo a letto, ma visto che non riuscivamo a prendere sonno, sistemammo le nostre cose e ci sedemmo su alcune sedie: guardandoci negli occhi capimmo che tutte e due avevamo una fame da lupi ed eravamo più sveglie di un gufo di notte, così indossammo le felpe, prendemmo le pile elettriche e uscimmo dalla stanza.

Dalla parte opposta del corridoio c’era la camera dei maschi, bussammo…nessuno ci rispose, che strano! Provammo ad aprire la porta, era aperta, entrammo: la stanza era ancora perfettamente in ordine, probabilmente anche loro non avevano neanche una merendina ed erano andati a cercare la cucina.

Scendemmo le tortuose scale, appiccicate una all’altra dalla paura, aprimmo una porta e un fascio di luce illuminò una stanza stranissima che non era di sicuro la cucina, ma fu un attimo, perché fummo inghiottite da un vortice infinito che ci separò. Io iniziai a gridare, ero disperata: dove ero finita? Ed Elena? Dove era? Quando avevo ormai la gola secca, iniziai a piangere: era un pianto sommesso, che però scoppiò in una cascata di lacrime che racchiudevano la mia tristezza, il mio disorientamento, la mia paura, ma più di tutto quell’incredibile senso di impotenza che mi rodeva pian piano…dopo un po’, quel pianto si spense in un dolce sonno ristoratore…

Sentii che qualcuno mi scuoteva, aprii gli occhi, era Elena!!!Non potevo crederci, ci abbracciammo e le nostre calde lacrime di gioia  ci rincuorarono.

Dopo qualche minuto passato una tra le braccia dell’altra, scendemmo dal letto e aprimmo la finestra; l’aria frizzante ci svegliò di colpo, andammo a lavarci e mentre stavo uscendo dal bagno inciampai nella torcia di Elena, nel raccoglierla sentii che era ancora un po’ tiepida.

Fui distolta dai miei pensieri da un toc-toc…aprimmo la porta e vedemmo Nicholas e Rosa di Vento, pettinati e vestiti, ma con una faccia a dir poco sconvolta…

“Buon giorno!Scusate, ma dove eravate ieri sera?”chiese Elena.

“Volevamo cercare la cucina, ma ci siamo persi e…” risposero loro.

“… e siete finiti dentro un vortice nero che vi ha divisi e stamattina vi siete ritrovati nelle vostre camere”continuò Elena.

“Evidentemente qualcuno ci ha portato qui e da poco, ma chi?” conclusi io.

Ci guardammo a lungo, finché concludemmo che dovevamo assolutamente indagare; tanto lì, non avevamo niente da fare, infatti una professoressa, la sera prima, ci aveva mandato un messaggio sul cellulare dicendo che gli altri compagni ci avrebbero raggiunto due giorni dopo a causa di un contrattempo.

“Andiamo in cucina a mangiare qualcosa!”disse Nicholas.

“C’e un problema però…e se ci perdiamo ancora?”chiese Elena.

“Vuol dire che aspetteremo che qualcuno ci venga a chiamare!”aggiunsi io.

“Ma io sto morendo di fame…! Mi fa male la pancia!”brontolò Rosa di Vento.

“Anche noi, però questa è l’unica soluzione!”risposero Elena e Nicholas

“No, non è l’unica che abbiamo: potremmo legare insieme le nostre lenzuola e calarci dalla finestra.”affermai.

“E poi cosa facciamo? Scappiamo a gambe levate?” mi schernì Nicholas.

“No!Bussiamo al portone!”precisò Elena.

Erano tutti d’accordo, così preparammo la corda, ma dovemmo anche aggiungere le coperte, perché  era troppo corta;ci calammo facendo molta attenzione a non fare alcun rumore, guardammo verso il mare e scoprimmo che doveva essere solo l’alba, non ci perdemmo d’animo e bussammo al portone. Toc-toc…toc-toc…toc-toc…!Finalmente la grande porta si aprì e il vecchietto, strabuzzò gli occhi “Ma voi non dovevate essere in camera a dormire?”gracchiò.

“Ci siamo svegliati e avevamo tanta fame visto che ieri sera non avevamo cenato però..”disse Rosa di Vento.

“E non potevate andare in cucina?”chiese sorpreso il vecchietto.

“E se fossimo entrati ancora in un vor…ahia!” azzardò Nicholas.

“Ma di che vor stai parlando?” riprese il nonnetto.

“ Di un vortice! Ehi, ahia, la piantate di pestarmi i piedi?”esclamò Nicholas, fulminandoci con lo sguardo.

“Lo scusi, si è bevuto il cervello, e poi sogna cose strane la notte…”aggiunsi io.

“Allora possiamo entrare?” concluse Elena spazientita.

“Certo!Ma che domande fate…” rispose seccamente l’anziano signore.

“Dov’è la cucina?” chiese giustamente Rosa di Vento.

“Da quella parte!”indicò il vecchio.

“Ragazzi, dobbiamo fare in modo di seguire il signore”sussurrai io.

“ Mi sacrifico io, la tirerò un po’ lunga, ma voi spicciatevi!” disse Elena.

“Ok”…

Arrivati in cucina, preparammo quattro fagotti e ritornammo in camera dove  infilammo i  fagotti in quattro zaini, prendemmo una torcia ciascuno e Rosa di Vento un coltellino svizzero. Ci precipitammo giù dalle scale, dove poco prima c’erano Elena ed il vecchietto che parlottavano, non c’era più nessuno! Rimanemmo con il fiato sospeso e feci segno agli altri di stare zitti. A quel punto sentimmo alcune voci sommesse, le seguimmo e arrivammo nella sala da pranzo. Nicholas entrò, mentre io e Rosa di Vento lo seguimmo imprecando, non avevamo la minima idea di che cosa avesse in mente.

“ Direi che possiamo andare!” disse rivolto ad Elena.

Lei lo guardò con un’aria da “stai rovinando tutto”, poi Nicholas si rivolse al vecchio signore dicendo: “ Se le nostre professoresse venissero a bussare chiedendo dove siamo, lei dica loro che siamo andati a fare un giro per Mont-Saint Michel, d’accordo?”

“Va bene”rispose il vecchietto.

“Sei geniale” esordimmo noi, poi porgemmo lo zaino ad Elena, sgranocchiammo qualcosa ed il nostro inseguimento incominciò.

Seguendolo di nascosto, ci inoltrammo nel salotto, nel bagno, nella sala da pranzo, nella cucina e poi, con nostra grande sorpresa, il nonnetto salì le scale che portavano al piano superiore, lo superammo di corsa dicendo “Ci siamo dimenticati la cartina in stanza” e dalla porta uno ammassato contro l’altro lo spiammo.

Il vecchietto si guardò intorno con aria circospetta, poi estrasse una piccola chiave da una tasca della sua giacca e toccò il pulsante della luce. Non vedemmo più niente perché ci dava la schiena,  dopo un po’ scese le scale e noi notammo che non erano simili a quelle che avevamo visto per tutta la mattina, esse erano di marmo bianco e lucidissimo, non più in legno. Dovevamo sbrigarci, altrimenti lo avremmo perso di vista . Ci dirigemmo verso il pulsante della luce e tastandolo ci rendemmo conto di un piccolo rilievo grazie al quale riuscimmo ad alzare il pulsante, e sotto scovammo una mini serratura, ma non avevamo la chiave.

”Come facciamo?”chiese Nicholas.

“Io ho una forcina!”disse Elena.

“Passamela, ce la dovrei fare!”disse in modo sbrigativo Rosa di Vento.

Era proprio bravo ed in pochi secondi sentimmo un –Tac!- , una pietra del muro avanzò leggermente, la pigiammo ed una leva uscì dal muro, la tirammo e le scale cambiarono forma.

”Incredibile!”esclamammo in coro.

Ci prendemmo per mano e scendemmo con estrema prudenza le scale, il pavimento ritornò bruscamente di legno come se non ci fosse stato più marmo a disposizione, il legno era così vecchio che scricchiolava spaventosamente ad ogni passo;ci trovavamo in una sala completamente vuota, il pavimento sembrava grigio tanta era la polvere che lo ricopriva,  appesa al soffitto c’era solo una minuscola lampadina che, con una luce fioca, lasciava l’intera sala in una penombra inquietante… davanti a noi c’erano tre corridoi abbastanza lunghi: quale dovevamo prendere per ritrovare il vecchio?

Restammo in ascolto per lunghi minuti che ci sembrarono interminabili, fin quando un tonfo sonoro ci fece letteralmente saltare in aria; proveniva dal corridoio davanti a noi, procedemmo a passo piuttosto spedito verso il rumore, stando attenti a non far scricchiolare troppo il pavimento, entrammo di soppiatto in una stanza abbastanza ampia, era piena di cataste di libri, colonne di libri messi di traverso, scaffali stracolmi di libri e mucchi giganteschi di libri polverosi a terra, molto probabilmente pilastri di libri caduti e mai più raccolti.

Ci dovemmo nascondere subito dietro ad uno scaffale, infatti il signore era seduto ad una scrivania intento a scrivere qualcosa…aspettammo a lungo, finché ad un certo punto si alzò dalla sedia ed uscì dalla stanza; allora ci precipitammo sulla scrivania e sfogliammo le cartacce alla ricerca di un indizio.

Nicholas disse: “Ho trovato qualcosa!”.

Andammo tutti a guardare, era un foglio di giornale strappato e appuntato su una bacheca polverosa con la dicitura:

Ricercato Molvo Cornelio

Sotto la foto di un signore piuttosto giovane che però assomigliava a qualcuno che avevamo già visto, ma chi?

Di colpo Elena esclamò: “Ma è il proprietario di questa casa!”.

“E’ vero, è il vecchietto!”, disse Rosa di Vento.

“Ma perché è ricercato?”, chiesi.

“Qui dice che è ricercato per contrabbando di animali”, rispose Nicholas.

“Dobbiamo cercare di scoprire qualcosa di più…” , aggiunse Elena “cerchiamo tra i libri..”.

Dopo ore di ricerca trovammo finalmente degli appunti dentro ad un grande libro impolverato che parlava di trasformazioni di animali normali in animali feroci e devoti solo al padrone, negli appunti invece c’era scritto : prove da effettuare.

“Ma è spaventoso, a cosa gli serviranno tutte queste bestie feroci?”si chiese Elena.

“Io forse lo so”dissi “le vuole gettare in combattimenti clandestini tra di loro in nome di Michel, non so dirvi altro, perché su questo foglietto c’era scritto solo ciò…”

“Guardate questo libro!” continuò Rosa di Vento “ è intitolato il vecchio mondo di KINKUA, dice che KINKUA è un mondo piuttosto piccolo,  sprofondato sotto il mare cento anni fa, il cui monte più alto era chiamato Mont-Saint Michel!”

“Wow, vuol dire che Mont-Saint Michel è solo un monte di un mondo intero!”esclamai.

“Già, e penso che Michel sul foglietto che hai trovato venga inteso come Mont-Saint Michel…”precisò Nicholas.

“Penso sia così, ma quando lo vuole fare e perché?”chiesi.

“Il perché bisogna chiederlo a lui!”rispose ironicamente Rosa di Vento.

“E il quando?”ripetei.

“L’ho scoperto io,dietro l’articolo di giornale c’è scritto: il 23 luglio avrò la mia vendetta!”disse Elena.

“Ma è tra poche ore! Infatti abbiamo cercato indizi per tutto il giorno e adesso è quasi mezzanotte!”constatò Rosa di Vento.

“Dobbiamo fare una sola cosa! Trovare gli animali e liberarli prima che vengano fatti diventare feroci!”concluse Nicholas.

“Forza andiamo”, esordii.

Fu così che uscimmo di corsa dalla stanza, ci ritrovammo ancora nella sala di partenza, ci mettemmo in ascolto e sentimmo dei lievi grugniti provenire dal corridoio alla nostra destra,così lo imboccammo; in fondo  c’era una porta, la aprimmo, all’interno della stanza c’erano molte gabbie con un sacco di animali di specie diverse, ma erano un tantino diversi dai nostri.

Il signore però era già lì…ci guardò stupefatto:”Cosa ci fate voi qui?”.

“Perché lo vuole fare? Non è giusto!”chiese Elena.

“Questi animali mi hanno cacciato da KINKUA, perché loro erano metà dei membri del consiglio di KINKUA, che avrebbero eletto il sovrano, e decisero che, non solo non potevo diventare il sovrano, ma ero anche troppo cattivo  per restare in quel mondo!”.

“E chi è Michel?”domandò Nicholas.

“Mi chiamavo così quando ero ancora un KINKUARIANO! e ora lasciatemi fare il mio lavoro… penserò dopo a come inserirvi nei combattimenti!”.

“Lei non farà proprio un bel niente” disse Rosa di Vento.

Aprì di colpo il suo coltellino svizzero, lanciandolo verso il vecchietto, lo colpì in pieno petto, il nonnetto cacciò un urlo spaventoso e si dissolse nel nulla…

“Era rimasta solo la sua anima, il suo corpo non c’era più…” a parlare era stato un animale e ben presto scoprimmo che erano animali parlanti di KINKUA e che il vortice dove eravamo entrati era il passaggio magico tra KINKUA e il suo monte emerso.

Liberammo tutti gli animali che una volta arrivati al vortice ci salutarono e ci regalarono un minuscolo anello, in modo che ci potessimo sempre ricordare di loro.

Ci chiesero poi di distruggere la serratura che portava alle stanze sotterranee contenenti il passaggio tra KINKUA e il suo monte emerso.

Li salutammo e salimmo le scale fino alle nostre camere, una volta nel corridoio  distruggemmo il tasto della luce e quando ciò accadde, la casa svanì nel nulla.

Ci ritrovammo ancora nella hall dell’albergo, in mezzo a tutti i nostri compagni.

Ognuno di noi quattro trovò nelle tasche un biglietto che diceva: “Grazie per avere ricambiato il favore!”.

“Ma allora è stato uno di loro a riportarci nelle nostre stanze” esclamò Elena.

“Bene, il mistero allora è svelato!”disse Nicholas.

Scoprimmo così l’intrigo e capimmo che eravamo riusciti a distruggere la pazzia del signore e con essa era sparita anche la sua villa, fonte della sua follia e il nostro incredibile viaggio non si sarebbe più potuto ripetere.

LA CASA DEI MISTERI di Vittoria Batavia ( i racconti dei corsi on line)

LA CASA DEI MISTERI di Vittoria Batavia

Corso Bambini – Primo Livello

Elize sbatté con furia l’anta dell’armadietto, che protestò cigolando.
“Un giorno o l’altro si rompe“, esclamò Agnes, la sua graziosa amica che se ne stava due armadietti più in là.
Elize proprio non la ascoltò. Era colpa sua, e lo sapeva, se le avevano rifilato l’ennesimo cinque di storia, ma…la prof interrogava sempre lei! E poi ci si mettevano anche Kate, Stefania e il loro seguito ghignante: Elize proprio non le sopportava.
Proprio mentre ci pensava, le due Miss Popolarità e la sorellina di Kate, Beth, passarono nel corridoio con aria di superiorità, portandosi dietro un’ondata di quel loro nauseante profumo Sensuality. Elize fece in fretta, afferrò i libri di francese e algebra e intercettò la camminata da pop star delle due, frenandone l’avanzamento nel corridoio.
“Che vuoi?”, chiese Stefania scostandosi con finta noncuranza una ciocca bionda dal viso.
A Elly era venuta un’idea, non ne poteva più dei soprusi di quelle due, e poi era una stupidaggine da bambini, suo fratello ne parlava da tempo. “Vorrei proporvi una cosuccia”, disse con lo stesso tono falso e mellifluo di Stefania, “ovvero andare nella vecchia casa Cronwell, vicino al bosco. Avete il coraggio di…farci una visitina?”.
Tutti quelli che stavano passando nel corridoio si fermarono ad ascoltare, avevano colto tutti le parole di Elize che, dal canto suo, si trovò con un’aria soddisfatta dipinta in volto: Stefania era impallidita, e Kate le strattonava una manica come una bambina: “Dille di sì, Stefy, dille di sì!”, Stefania riprese colore e un’espressione strafottente e presuntuosa, “certo, che roba da bambini…ti sei rimessa a sentire le storie di fantasmi dalla mammina, Elize?” – poi fece una pausa “ad effetto”, falsa e impostata come nei film, e proseguì, “domani pomeriggio, alle sei, bambinetta. E se te la fai sotto portati dietro l’amica”. Poi rise sprezzante insieme a Kate, mentre si allontanavano nel corridoio, il rumore dei tacchi più sonoro che mai in mezzo alla calca di studenti ammutolita.

***

Elize e Agnes arrivarono qualche minuto dopo Stefania e Kate, seguite da una folla di ragazzi della scuola.
Si fermarono tutti ai piedi della collina: gli altri ragazzi perché non avevano il coraggio di proseguire, le quattro ragazze perché dovevano decidersi sulle regole della sfida. Elize e Agnes si fermarono davanti alle altre due ragazze. “Orologi sincronizzati: mezz’ora là dentro e poi usciamo “, disse Stefania, “sempre che voi due bambolotte non ve la facciate sotto prima”. E giù a sghignazzare con Kate.
Elly, però, non aveva nessuna voglia di scherzare: “Stefania, fai veramente ridere e la sfida che hai proposto è da poppanti. Io dico un’ora, a meno che dopo un quarto del tempo voi due non siate già schizzate fuori urlando come oche”.
“E un’ora sia”, esclam Kate, “vince chi resiste per tutto il tempo dentro, ma per noi sarà veramente un giochetto”. Elize ficcò le mani nella tasca del giaccone e seguì Agnes su per il dolce pendio della collina.
La casa dei misteri, così come la chiamavano tutti, era in cima, sul punto più alto. Aveva un aspetto inquietante già da fuori: non sembrava vecchia e decrepita ma appena costruita e abbandonata. Le finestre erano sbarrate con assi marce e chiodi arrugginiti, ma i cardini erano argentati e lucidi. Il portone di legno dimostrava tutti i suoi secoli, però incuteva ancora timore col battacchio a forma di lupo.
“Ci sono cento stanze e cinquanta scaloni giganti, con una botola a ogni gradino che può farti sprofondare negli abissi”, pensò Elly con un groppo alla gola, fissando la casa e ricordando le parole del fratello – nelle camere i fantasmi dei vecchi abitanti dormono nei letti – “Sono stupidaggini, roba da bambini. Stefania e Kate perderanno”, si rassicurò cercando di non avere paura. Poi, mano nella mano con Agnes, spinse il portone che si aprì emettendo il rumore più sinistro e spaventoso che essere umano avesse mai udito.
Elly e Aggy balzarono indietro spaventate, mentre Stefania e Kate se la ridevano contente.
Appeso su un gancio sulla parte superiore della soglia, c’era uno spettrale fantoccio fantasma. Era un vecchio lenzuolo dipinto con gli acrilici, uno scherzo di quelle due vipere. Elly sbuffò e rise: “E’ tutto quello che sapete fare?”. Kate si girò e fece una linguaccia, poi entrarono e richiusero il portone vedendo l’ultimo sbuffo di luce scomparire dietro il legno scuro.
“Agnes, ci sei?”, chiese Elize cinque secondi dopo.
“Sì, sono qui…c’è pochissima luce”, sussurrò Agnes spiegando che le altre due erano andate verso destra.
“Allora noi prendiamo quest’altro corridoio. Se troviamo una stanza dove poterci sedere ci fermiamo lì…seguimi”, Elize era decisa.
Si presero per mano e mossero qualche passo nel corridoio. La casa sapeva di muffa e sapone rancido, un odore dolciastro e vanigliato da vomito. Le assi del pavimento scricchiolavano ad ogni minimo respiro, e Elly si sforzò di non pensare ai topi. Aveva immaginato che quello fosse veramente un posto da bambini, ma non era così. Le veniva una voglia tremenda di urlare, urlare che voleva uscire di lì…ma sapeva di poterlo fare: Kate e Stefania avrebbero vinto.
Si trovarono quasi subito davanti a una scala mezza marcita, con un tappeto rosso bordato d’oro consunto e mangiato dalle tarme. Un tempo doveva essere stato bellissimo, rosso fuoco e splendente, ma ora era poco più di uno straccio appiccicato al legno. Elize sfiorò il mancorrente con mano incerta, quello vacillò e Elize si sentì sollevata in aria: aprì gli occhi e in un mare di luce accecante e violetta, vide in un lampo l’antico splendore della maestosa scalinata: il tappeto lustro e luccicante, l’oro dei bordi perfettamente coordinato.
Il mancorrente in legno era talmente lucido da sembrare marmo, e un lampadario di meraviglia indescrivibile troneggiava in cima più abbagliante di una palla da discoteca. Elize allungò una mano, ipnotizzata, ma crollò subito a terra, contorcendosi sul pavimento. Quando si mise a sedere, cercò la mano di Agnes accanto alla sua: “Cosa…cosa è successo? Hai visto anche tu?”, esclamò allarmata. Ma Elly si accorse di non avere stretto la mano di Agnes, ma un pezzo di stoffa sul pavimento. Lo avvicinò il più possibile agli occhi, in modo di vederlo il meglio possibile. Era una stoffa scarlatta e lucida, come dell’acqua limpida e pulita in un mare di petrolio. Elly doveva averla strappata quando aveva allungato la mano, ma com’era possibile? Quella visione non era reale, solo un brutto gioco dell’immaginazione. Elize raccolse il pezzo di stoffa  e si alzò in piedi: magari Agnes aveva proseguito credendo che lei la seguisse, mentre era lì tra le sue fantasticherie…e, guardandolo bene, si accorse che in fondo quella stoffa non aveva niente di speciale. Era un po’ meno consunta di quella del tappeto, questo sì, ma dimostrava lo stesso una certa età.
Corse su per la scala e chiamò Agnes per un po’, poi, senza nemmeno pensarci, si fiondò dentro la prima porta che aveva di fronte e fece cadere per terra la pezza di tessuto che aveva in mano. Nello specchio enorme e antico di bronzo che le stava davanti era riflessa l’immagine di…Agnes! E appena si avvicinò, la figura trasparente di una ragazzina spuntò fuori dal muro. Aveva i capelli rossi e a boccoli, acconciati in modo perfetto, e un vestito verde polvere molto all’antica, ancora con la crinolina. Elize avrebbe voluto urlare, ma non ci riuscì perché si accorse che quella ragazzina era identica a lei!
“Chi sei?”, chiese, rivolta alla sua sosia.
”So che è difficile crederlo, ma io sono un fantasma…e tu sei la mia pro-pro-pro-pro-pro-pro nipote. Tu sola hai il permesso di entrare in questa casa, è per questo che ho fatto prigioniera lei. Ce ne sono altre due, vero?”, disse la ragazza-fantasma.
“Ammettiamo che io ti creda, anche perché faccio fatica a pensare che sia uno scherzo della mia immaginazione, tu fluttui! Comunque, come ti chiami?”, domando esterrefatta Elize.
“Il mio nome è  Elizabeth”,  rispose, “e tu devi credermi, è vero quello che dico. C’è una…cosa, legata a questa casa, ma io non posso occuparmene, sono segregata qua…ed aspettavo il momento in cui tu saresti venuta, per affidarti questo compito. Ma prima devi andartene, e anche in fretta: non sono l’unica che abita qui.”
“Libera Agnes!”, disse Elly con aria di sfida.
“Lo farò, antenata, ma tu devi promettermi che tornerai…ho bisogno di te!”, supplicò Elizabeth.
“Va bene, tornerò appena mi sarà possibile…ma tu potresti farmi un favore?”, e così dicendo bisbigliò all’orecchio del fantasma alcune parole.

***

Dopo alcuni minuti Agnes ricomparve come se nulla fosse successo. Assieme a Elize si era messa sulla soglia della casa, mentre Kate e Stefania correvano via gridando come pazze: il fantasma aveva fatto ciò che Elize aveva chiesto. Le aveva proprio terrorizzate.
Era dunque ovvio chi aveva vinto la sfida!
Elly diede il cinque ad Agnes e, girandosi verso l’interno, fece l’occhiolino alla sagoma appena visibile di Elizabeth sussurrando: ”Tornerò…”

LA CASA DEI MISTERI di Samuela Zella (Corso bambini – Primo Livello)

LA CASA DEI MISTERI di Samuela Zella

Corso bambini – Primo Livello

N°534

Faceva freddo. Il mio pickup arrugginito camminava cigolando fra le siepi di una buia strada. Guidavo,pensando a quando sarei tornata a casa;casa dolce casa!Poi,il rombo della macchina si arrestò di colpo:avevo finito la benzina!Mi guardai intorno:mancavano circa 20 km da casa. Pensai di chiamare mia sorella e di farmi venire a prendere:presi il cellulare,mantenendo una finta calma e provai a chiamarla. La fortuna volle che non ci fosse campo. Mi rimaneva soltanto di citofonare e chiedere di usare il telefono. Alla mia destra notai una casa antica,a tre piani,con una luce rossa accesa e l’ombra di qualcuno. All’esterno c’era un albero di carrube. L’edera aveva coperto ogni traccia dell’abitazione,diventata un polmone verde. Il portone era di un legno rossiccio alla cui sommità c’era un leone,quasi avesse il compito di proteggere la palazzina. La figura che avevo visto prima mi diede la certezza di trovare qualcuno in casa e mi spinse a suonare il campanello. Mi venne ad aprire una ragazza bellissima,con una voce ammaliante,che mi chiese cosa volessi. Aveva i capelli neri e lisci,e gli occhi grandi e celesti. Le sue labbra,piccole ma carnose,erano di un rosso fuoco. Mi disse di accomodarmi. Entrai,imbarazzata,nell’atrio,e poi,ella mi condusse nel salone,una stanza dalle pareti di un giallo girasole,un caminetto che ardeva,un tavolo di ottone su cui c’era un vaso pieno di fiori. Era così accogliente! Mi voltai per chiederle dove fosse il telefono,ma la ragazza era scomparsa. Allora mi riguardai intorno:i fiori che prima erano di un fucsia acceso stavano appassendo,lentamente. La bellezza di quel salotto venne rovinata da questo macabro particolare che mi mise una certa inquietudine. Decisi che era il momento di andarmene,e mi avviai con decisione verso la porta. La spalancai e uscii,a testa bassa. Quando rialzai lo sguardo mi resi conto di non essere per strada. La stanza era di un rosa confetto,sovrastata da un grande carillon. I cavalli si muovevano,lentamente,dall’alto verso il basso. Su uno di essi era seduto un pagliaccio,tutto bianco con la bocca rossa. Mi invitò a salire sulla giostra. Aveva i capelli ricci e arancioni e il naso rosso fuoco. Sorrideva e aveva l’aria di divertirsi. Per un attimo mi sentii di nuovo bambina e salii su uno di quei cavallucci senza pensarci due volte. La canzone di sottofondo era romantica,dolce allegra. Guardavo il pagliaccio e ci ridevamo,quando,nel suo sorriso,notai una smorfia. Una smorfia che mi faceva paura.

Le note della canzone cambiarono. L’angoscia cresceva in me. Quando sentii piovere. Mi stavo bagnando. Per un attimo chiusi gli occhi e cercai di dimenticare tutto. Mi convinsi che fosse un sogno. Che tutto sarebbe finito,da un momento all’altro. Riaprii gli occhi ed ero ancora lì,tutta bagnata. Bagnata di rosso. Colava lentamente sul mio corpo,lentamente,quasi a farlo apposta. Alzai la testa:nero. E mi accorsi,lentamente che scendevo sempre più,nel baratro di quell’inferno. Il mio cavalluccio andava giù,e il pagliaccio mi salutava con il sorriso che prima mi aveva reso felice. Aggrappata al mio fidato cavalluccio,andavo sempre più giù. Tutto era buio. Arrivammo a terra. Appoggiai i piedi. Mi sentivo circondata. Voci mi sussurravano. Mi dicevano:-non ti fidare,Bella. Vieni con noi. Lasciati andare … – Poi un grido investì la stanza. Era un grido femminile. Cominciai a correre,in cerca di qualcuno o di qualcosa. Fino a quando mi ritrovai a casa mia:i miei genitori erano seduti intorno al tavolo. Il divano era al suo posto,la cucina anche. E il vaso di fiori si trovava anch’esso sul centrino ricamato da mia madre al centro del tavolo. Mi sentii sollevata,ma forse per la sorpresa,rimasi sull’uscio. Sorridevano. Poi,il pavimento cominciò ad abbassarsi soltanto per la porzione in cui erano seduti i miei genitori,che mi salutavano sorridenti. Una lacrima solcò il viso di mia madre,mentre lentamente scompariva davanti ai miei occhi. Ed in quel momento la soluzione mi sembrava ovvia. Tutti i conti tornavano e tutto mi apparve chiaro . Ogni cosa era al posto giusto. E mi parve ridicolo,in quel momento di disperazione,che anche quel fiore nel vaso stava lentamente appassendo. E chissà,forse,anche io stavo appassendo. La mia anima era lacerata da quel lugubre incubo. Le pareti diventarono lentamente nere. Tutto diventò nero. Ma non avevo più paura. Ormai non poteva spaventarmi più nulla. Ero troppo stanca. Camminai a passo veloce e aprii il cassetto della cucina. La vidi brillare e risplendere. La presi e l’ analizzai lentamente.Com’era bella. Se fossi stata al suo posto …  sarei stata solo un mezzo,uno strumento. Parte della recita. Avrei potuto guardare con oggettività la faccenda. Avrei avuto il compito di porre fine a quell’incubo. Avrei avuto la parte della buona. Avrei spezzato le catene di chi era costretto a rimanere lì,in quella casa maledetta. Ma ormai era troppo tardi. Con una spudorata facilità premetti il grilletto.

N°535

Faceva freddo. La mia nuova e brillante Mercedes spiccava fra le siepi di quella strada. Guidavo,pensando a quando sarei tornata a casa,dove mi aspettavano mia moglie ed i miei due figli. Poi,la macchina si fermò,silenziosamente:avevo forato una ruota!Mi guardai intorno:mancavano 400 km per arrivare a destinazione. Pensai di chiamare il soccorso stradale e di farmi venire a prendere:presi il mio smartphone,mantenendo una finta calma e provai a chiamare. La fortuna volle che non ci fosse campo. Mi rimaneva soltanto di citofonare e chiedere di usare il telefono.