IO SONO IMMORTALE di Alessio Scalia. Primo Livello Adulti. Corso di scrittura online

IO SONO IMMORTALE
di Alessio Scalia
Primo Livello – Corso Adulti

Accarezzai i capelli lisci e biondi di Gabriel mentre sorrideva estasiato. A cinque anni è più che normale esplodere di gioia anche per una piccola escursione nel bosco. Eppure, ogni volta, quella sua reazione spontanea mi provocava sentimenti dolci e conditi di vero amore.
“Tornate presto!” disse Sasmira, dando un bacio a lui e uno a me. Era una Venere con capelli lisci neri, un fisico sottile e il nasino all’insù. Le dicevo spesso che assomigliava ad una fata, e lei ogni volta reagiva sollevando gli angoli della bocca, compiaciuta. Dopo essere stata afflitta da una lunga malattia nella zona del basso ventre, Sasmira aveva creduto di non poter avere figli, perciò ne aveva desiderato uno con tutto il cuore. Quel bambino, nato come per magia, l’aveva resa mamma e adesso eravamo la famiglia più felice del nostro villaggio.
Come quasi tutte le mattine io e Gabriel ci recavamo nel bosco. Il piccolo adorava raccogliere viole profumate per poi regalarle alla sua adorata mamma. Gli piaceva posarle delicatamente tra la sua chioma scura e osservarla incantato. A dire il vero anch’io la preferivo con un fiore fresco in testa. Gli donava davvero.
Presi in braccio Gabriel e lo portai a cavalcioni sulle mie spalle possenti per farlo sentire un vero gigante.
“Corri papà” urlò divertito.
Da grande voleva diventare un guerriero di un metro e novanta tutto muscoli come me, suo padre. Il mio viso, così come il corpo, mostrava i segni delle dure battaglie che avevo combattuto. Ma dopo la nascita di quell’angioletto avevo detto basta. Non potevo più rischiare di perdere la vita e lasciare soli moglie e figlio. Già da tre anni mantenevo fede alla mia promessa.
Intanto, alzai gli occhi e notai che il cielo era sereno e una leggera brezza smuoveva le foglie degli alberi. Il sole, ancora debole, batteva sulla pelle in modo piacevole e confortante.
L’incontro inaspettato con uno scoiattolo impressionò piacevolmente Gabriel.
“Che bello, guarda!” gongolò stupefatto, indicando il roditore che sgattaiolava.
Dopo cinque minuti di marcia in allegria e spensieratezza, mi decisi a mettere giù il piccolo e subito cominciò a scalpitare tra l’erba. Un tappeto di viole si presentò davanti ai nostri occhi. Gabriel spalancò la bocca in un sorriso puro e si chinò a raccoglierne qualcuna, ma all’improvviso lo vidi flettere le gambe e crollare a terra sovrastato dall’erba alta. Non si rialzò più.
“Gabriel!” urlai precipitandomi a raccoglierlo. Lo presi tra le braccia. Era privo di conoscenza, gli occhi serrati. Vederlo conciato a quel modo orribile mi terrorizzò a morte e pensando subito al peggio portai l’orecchio al suo torace. Il cuore batteva ancora, grazie al cielo.
Tornai di corsa al villaggio con Gabriel tra le mani e mi diressi in casa di Igan, lo stregone. Era l’unico che conosceva i segreti della guarigione e l’unico che poteva aiutarmi.
Intanto Gabriel in preda agli spasmi sudava freddo, il viso violaceo, le labbra pallide.
“Cos’è successo?” chiese lo stregone, lasciandomi entrare.
“Non lo so! È piombato al suolo di soppiatto e non si è più rialzato!” spiegai con la voce incrinata. Adagiai quel piccolo corpicino privo di energia su un letto.
Dopo una lunga visita e vari controlli Igan, si accarezzò la barba bianca chiaramente preoccupato.
“Ha pochissime speranze di sopravvivere!” disse cupo.
In quel momento era come se il mondo mi fosse crollato addosso. Non potevo accettare un verdetto del genere, mai!
Mio figlio Gabriel aveva contratto un virus sconosciuto. Per Dio, morire a cinque anni!
“Dobbiamo salvarlo!” esclamai determinato. Gabriel era ciò che di più caro avevo al mondo, non potevo perderlo.
Igan inumidì una panno nell’acqua tiepida e glielo poggiò sulla fronte, poi si voltò verso di me con lentezza.
“C’è solo un modo, Tancan” mi rivelò in tono spento. “Devi portarmi la pianta notturna!”
Quella pianta magica era in grado di guarire un umano da qualsiasi malattia. Lo sapevano tutti. Era l’unica via di salvezza per la creatura innocente.
“Dove posso trovarla?” chiesi, pronto a tutto pur di restituirgli la possibilità di vivere.
“L’unico posto dove cresce… è la caverna di Sibila: la Donnaragno!” rispose con un fil di voce.
Deglutii sconvolto.
“Maledizione!” borbottai tra i denti. Strinsi i pugni con forza fino a farli tremare.
Si diceva che quel mostro spietato, uccidesse chiunque tentasse di estirpare la pianta notturna dalla sua tana, anche i guerrieri più valorosi. Nessuno era riuscito a sopravvivere contro quella belva sanguinaria, proprio nessuno, e adesso toccava a me…
Sì, ero abile con la spada, ma non credo sarebbe bastato a darmi la vittoria, avevo bisogno di qualcos’altro, ma cosa?
Sasmira, intanto, informata da qualcuno, con il volto in lacrime e pallido, piombò in casa dello stregone. Aveva il fiatone ed era visibilmente scombussolata.
“Gabriel! Piccolo mio!” farfugliava. Le accarezzò il viso in preda alla disperazione più totale. Lui, sdraiato sul lettino, con il corpo inerme non rispondeva e respirava malamente.
Io sono il padre, ed è mio dovere tentare il tutto per tutto, pensai. Gli restavano solo due miseri giorni di vita.
Prima di lanciarmi in quella missione suicida, decisi ancora una volta di chiedere aiuto al saggio stregone.
“Igan ti prego” implorai. “Donami un grande potere. Devo sconfiggere Sibila. Farò tutto ciò che vuoi”.
Lo stregone mi fissò con i suoi occhi neri e penetranti, poi, con tutta calma bevve un sorso di tisana bollente da una tazza di porcellana bianca. Infine propose: “Ti offro l’immortalità. Ma… voglio in cambio le tue ricchezze. È un rito troppo pericoloso quello che dovrò fare per aiutarti e potrei anche morire”.
“Non puoi concederla a mio figlio, l’immortalità?”
Igan scosse la testa.“No! Questo tipo di magia è troppo potente. Lo ucciderebbe all’istante!”
Non avevo scelta. “Accetto!” dissi.
Monete e averi in confronto alla vita del mio bambino non valevano un bel nulla.
Lo stregone si spostò rapidamente in una stanza dove c’erano una miriade di vasi e alcune sedie in legno massiccio. Io ovviamente lo seguii.
“Siediti Tancan!” ordinò con voce pacata. “Rilassati e respira profondamente”.
Mi lasciai cadere su una di quelle sedie dure e scomode.
Igan scelse accuratamente un vaso in ceramica decorato e, dopo aver recitato una breve preghiera, vi immerse una mano.
“Questa è una polvere magica, è il corpo di tre guerrieri invincibili: Iderc, Etni, Ossets” dichiarò. Poi estrasse le dita impregnate di grigio e le strofinò sulla mia fronte, invocando più volte: “Spiriti dei guerrieri, donate l’immortalità a Tancan, ora! Spiriti dei guerrieri, donate l’immortalità a Tancan, ora!” E ogni volta alzava il volume della voce fino a urlare a squarciagola. Gli tremavano le mani, il viso diventò rosso porpora, sembrava fare uno sforzo immane.
A un tratto sentii un brivido freddo scorrermi lungo la spina dorsale e una potente energia vibrare nel mio corpo. Ero diventato immortale!
Igan tirò un sospiro di sollievo. “Bene!” sussurrò chinando il capo. Con la manica della tunica si asciugò la fronte imperlata di sudore.
Potevo partire per la missione.
Tornai da Sasmira per avvisarla del viaggio che avrei dovuto intraprendere. Era ancora china sul letto a cullare il suo bambino malato.
“Ti prego!” supplicò mia moglie speranzosa. “Torna vivo e portaci la pianta notturna!”
“Sta tranquilla” risposi stringendola a me. “Sono immortale adesso!”
Sasmira mi lanciò un’occhiata perplessa, però non disse nulla. Era troppo sconvolta e stremata per fare domande. E comunque lei non era al corrente del patto che avevo fatto con lo stregone.
Uscii da quella casa armato fino ai denti e a passo deciso mi incamminai verso il bosco, quando la sera calò all’improvviso.
Il cielo era una distesa oscura priva di stelle. L’aria gelida mi penetrava le ossa e il vento ululava. Dopo aver marciato per un’ora e superato un labirinto di alberi e fitti cespugli, finalmente giunsi alla caverna di Sibila.
L’ingresso era un enorme fenditura a forma di piramide.
Entrai senza esitare.
All’interno regnava l’oscurità, quindi accesi la torcia e aguzzai la vista. Determinato, avanzai lungo quel varco roccioso e mi ritrovai a calpestare un tappeto di ciottoli bianchi. Le pareti invece, erano umide, spigolose e rivestite da una sostanza biancastra appiccicaticcia.
La mente si affollò di pensieri angoscianti che mi facevano scoppiare le tempie. Non potevo essere sconfitto. Non potevo morire. Gabriel aveva bisogno di me e soprattutto della pianta notturna.
Sono immortale e invincibile, mi dissi, traboccante di coraggio.
C’era silenzio, un silenzio inquietante. L’aria puzzava di marcio e corpi in decomposizione. Infatti, sparsi per terra in un ammasso nauseabondo, scorsi scheletri umani, teste mozzate, corpi sbrindellati e fiumi di sangue. Soffocai un conato di vomito.
Sperai di trovare subito quello che cercavo e andarmene prima che la bestia mi vedesse.
Udii un rumore sinistro provenire dal profondo della grotta. Il cuore prese a martellarmi sul petto.
Poi, un sibilo terrificante echeggiò nelle pareti rocciose e il rumore di passi strascicati mi fece rabbrividire.
Un ombra sovrumana si stava avvicinando minacciosa.
Era Sibila. Aveva otto zampe piene di peli acuminati, e il volto… il volto era quello di una donna rugosa con capelli bianchi simili a ragnatele. Una fila di denti aguzzi e sporchi fuoriusciva dalle sue fauci gocciolanti di bava biancastra. Dagli occhi rosso sangue saettavano lampi maligni.
Era orrenda! Un mostro!
In quell’attimo sentii emergere dentro di me una forza immensa. Impugnai l’elsa della spada e feci vorticare la lama in avanti in segno di avvertimento.
“Come osi disturbare la mia quiete?” sibilò la bestia ibrida, sferrando il primo micidiale attacco. Si muoveva più veloce di quanto immaginassi.
Rapido mi spostai a sinistra schivandola, feci mulinare la spada in una rotazione da manuale e con un colpo perfetto gli mozzai una zampa. Rivoli di sangue e gemiti acuti.
“Sono immortale!” dichiarai in tono solenne “Stammi lontano o morirai! Mi serve solo la pianta per mio figlio!”
Ostinata, Sibila spalancò le fauci e spruzzò fili di fitta ragnatela collosa che si attorcigliarono al mio corpo, braccandomi. Tentai disperatamente di liberare un braccio, ma niente. Gemevo. Ero in trappola.
Sibila zampettava lentamente verso di me con espressione trionfante, pronta a sferrare l’attacco mortale.
Dimenandomi come un forsennato riuscii miracolosamente a sbloccare il braccio destro, sollevai la spada e trafissi quel volto terrificante. Dopo un urlo lancinante, il corpo orripilante crollò a terra, privo di vita.
“C’è l’ho fatta” esultai dentro di me.
Raccolsi la pianta notturna e cominciai a correre più forte che potevo verso la via del ritorno.
Giunsi al villaggio vittorioso.
Lo stregone selezionò accuratamente le foglie dell’arbusto magico e creò un intruglio verdastro. Lo spalmò sul torace nudo di Gabriel che, dopo un’ora finalmente riaprì gli occhi. Il colore della sua pelle tornò roseo e il respiro regolare. Sasmira e io scoppiammo a piangere. Abbracciammo il bambino come se fosse rinato. Fu una gioia immensa rivederlo sorridere e parlare.
“Mio figlio è salvo!” dissi allo stregone. “Sono immortale! Prendi pure le mie ricchezze”.
Lo stregone rise. “Tancan non sei immortale!” rispose. “Ma avevi bisogno che lo credessi”.
Rimasi allibito da ciò che udirono le mie orecchie.
“ Cos’era allora quella polvere grigia?” chiesi.
Lui si accarezzò la barba con aria di mistero. “ Come ti ho già detto era la polvere magica dei tre guerrieri invincibili, Iderc, Etni, Ossets. E se pronunci questi nomi al contrario diventano una frase: Credi In te Stesso!”
“Papà domani andiamo nel bosco a raccogliere viole e vedere scoiattoli?” ci interruppe Gabriel già in forze.
Mia moglie fece un sorriso gioioso e gli strinse le manine.
“Certo”risposi io accarezzando la fronte al mio angioletto. “E passeremo anche a salutare lo stregone Igan. Sai, grazie alla sua saggezza siamo di nuovo una famiglia felice”.

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