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La casa dei misteri di Elisa Consiglio (corso di scrittura online Bambini – Primo Livello)

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La casa dei misteri
di Elisa Consiglio
Corso di scrittura – Bambini – Primo Livello

Perfetto.
In ritardo.
Il primo giorno di scuola.
In terza media.
In una scuola nuova.
Miseriaccia.
Sistemai il colletto della camicia a fiori e mi pettinai i capelli come potevo.
Presi un bel respiro.
Bussai, sperando di sentire “avanti” nè troppo presto né troppo tardi, tendendo l’orecchio.
Le risate e il chiacchiericcio al di là della porta si placano.
Una voce severa risponde.
Abbassai la maniglia e…che accidenti di espressione facciale faccio adesso?
Sorrido? Faccio la seria? Formale? Sciolta? Troppo tardi.
Quella porta cigolava. E c’era silenzio.
Perdincibacco.
Je suis … dans …la mérde. Sì, imprecare mentalmente in francese è decisamente più liberatorio che farlo in italiano.
“Scusi il ritardo” dissi con voce un po’ impacciata ad una giovane professoressa bionda” Ma in segreteria hanno avuto qualche problema nel dirmi dov’è la classe e…”deglutì” sono la nuova alunna, Annalisa Rossi.”
“Buongiorno” diamine, mi ero dimenticata di dirlo!
“Sono la professoressa De Santis, insegno italiano e storia” mi accennò un sorriso” Puoi andare a sederti lì”
Mi indicò l’ultimo banco della fila centrale, dov’era seduto un ragazzo di media altezza, piuttosto minuto, i capelli castani spettinati e gli occhi grigi sorridenti.
Avanzai velocemente verso il mio nuovo posto, ringraziando mentalmente il cielo per non avere il trolley, che mi avrebbe dato fin troppe difficoltà a districarmi nel labirinto delle cartelle.
Feci scivolare rapidamente lo zaino dalle spalle prima di sedermi, le spalle un po’ rigide. Dovrei rilassarmi, salutare, sorridere…
“Ciao” mi voltai verso il mio compagno di banco, che mi guardava sorridendo mentre mi porgeva la mano sinistra. Era mancino?
“Sono Luca…tu sei Annalisa , giusto?”
“Giusto, ma preferisco se mi chiamano Lisa” risposi stringendogli la mano.
“La De Santis non è male” iniziò “ma i suoi discorsi di inizio anno scolastici sono qualcosa di veramente infinito.”
Era un chiacchierone, si capiva dalla disinvoltura nello sporgersi leggermente verso di me, mentre cercava riparo dietro la schiena di un tipo piuttosto alto. Dovevo decidere se quello era un bene o un male.
“Comunque…tra tre ore saremo fuori da qui, ma credo che inizierò a farti domande ora che aspettiamo i ritardatari. E dire che è il primo giorno” scosse la testa “Da dove vieni?”
“Frascati, vicino Roma” risposi “Tu hai sempre vissuto qui?”
“A Chiara Valle? Sì e conosco praticamente tutti. Ti è andata bene, dato che potrei presentarti tutta la scuola e mezzo paese” mi fece l’occhiolino “e dove abiti di preciso?”
“Nella villa sulla collina, hai presente?”
“Certo che ho presente. È la casa dei misteri.” Il suo tono si era fatto cupo, come quando si tenta di fare una voce cavernosa per raccontare una storia dell’orrore.
Corrugai la fronte :”La casa dei misteri?”
Il ragazzo annuì, l’aria grave:”Si dice che la casa si mantenga in condizioni perfette mentre le famiglie che la abitano incontrano la loro fine con morti tragiche e tormentate” sussurrò.
Okay. Ero sinceramente perplessa.
La professoressa richiamò la classe all’ordine. Evidentemente erano arrivati tutti.
“Bene ragazzi” iniziò la giovane donna “Potreste farmi i nomi di alcuni autori che andremo a studiare quest’anno?”
Silenzio totale. Non sapevo se alzare o meno la mano…
“Molto bene” evidentemente la De Santis non era una che si faceva scoraggiare facilmente “Sapete dirmi quale scrittore italiano, di origini veneziane, visse durante il periodo napoleonico e si arruolò nell’esercito francese?”
Alzai la mano di scatto. Foscolo.
La professoressa fece rispondere un’altra ragazza, una biondina con una voce acuta.
E poi ancora domande su Manzoni, qualcuna su Machiavelli, che evidentemente non avevano studiato lì, e su mezzo libro di letteratura, la mia mano alzata apparentemente ignorata.
Poi “Quest’anno parteciperemo ad un progetto. Studieremo i grandi della letteratura mondiale” gli occhi della professoressa si illuminarono “Vediamo se ne conoscete qualcuno. È morto a Parigi a novembre del 1900…” Pausa di silenzio “…nato a Dublino…”
Il mio braccio era tesissimo. Ed era l’unico.
“Oscar Wilde” mi limitai a rispondere ad un cenno dell’insegnante.
“Due opere che ha scritto” domandò quella con voce incolore.
“Il fantasma di Canterville…” iniziai con tono vago “Il ritratto di Dorian Gray…”
“Okay. È francese e ha scritto due libri ricchi di pantagruelismo…”
Stava iniziando a farmi seriamente male il braccio.
“François Rabelais”
“James Joyce”
“Jane Austen”
“Complemento di pena”
“Wow!” Sussurrò Luca mentre la prof scriveva un’altra frase da analizzare alla lavagna “abbiamo una secchiona qui!”
Sorrisi.
“Mi spiace solo” continuò lui sempre a bassa voce “che la prof faccia un po’ di favoritismi”
Arricciai il naso, chiaramente contrariata “Cosa mi dicevi prima della casa?” chiesi per cambiare discorso.
“Ah già! È stata costruita alla fine del 1600, ma inizialmente era solo una residenza estiva o qualcosa del genere…” Questo lo sapevo già, pensai “ma una famiglia nobile ci si è trasferita durante la rivoluzione francese…probabilmente avevano paura di finire tutti quanti ghigliottinati. Da allora sono iniziate le tragedie.”
“Ragazzi” la professoressa batté le mani un paio di volte “sto cercando di prepararvi per il test di ingresso!”
Passò un minuto scarso “Alcuni parenti raggiunsero i nobili che si erano trasferiti, e nel corso degli anni si sono stabiliti in pianta stabile. Alcuni si sono buttati dal terzo piano, qualcun altro è stato avvelenato, ma i più si dice che siano morti in seguito ad una forte depressione. Alla fine del 1800 se n’è andato il proprietario, mentre dei suoi parenti se ne sono andati dopo circa tre anni, con un figlio morto misteriosamente e urlando che nella casa c’erano spiriti maligni che li perseguitavano, uscendo dagli specchi e tentando di farli cadere dalle scale”
“Morto misteriosamente?” Chiesi. Probabilmente era uno scherzo, meglio svelarlo subito.
“Si dice che una mattina l’hanno trovato morto seduto sulla poltrona nella stanza dove era solito leggere…quella soffitta, hai presente? Bene, l’hanno trovato seduto in poltrona, bianco come la neve, gli occhi chiusi. Sembrava dormisse. Poi la madre si avvicinò per fargli una carezza e si accorse che non respirava. Chiamò il marito inorridita e il medico non seppe dar loro spiegazioni sul decesso. Sembrava che avesse semplicemente smesso di respirare. Lo seppellirono nella cappella dei loro parenti, poi se ne andarono e nessuno li vide più. Da allora la casa è abbandonata, ma si dice che a volte si sentano grida di dolore e lamenti struggenti. Poi…beh qualcuno ha provato a trasferirsi, mi ha raccontato mio nonno, era facile dato il prezzo piuttosto basso, ma nessuno è durato più di anno. C’era una ragazza, una bella bruna con gli occhi verdi, una volta mi ha detto, con un’aria seria come quella della Madonna nel ritratto che c’è in chiesa, sue testuali parole, te l’assicuro, che dopo due mesi è scesa in paese in piena notte urlando e strappandosi i capelli. L’hanno ricoverata in un ospedale psichiatrico e sembra che non ne sia più uscita. Tutti i più superstiziosi qui in paese vedono nella mancata decadenza della villa la conferma che ci sia una maledizione. Come un morbo, che invece di rovinare quelle vecchie mura divora la serenità e prosciuga l’energia vitale dei suoi abitanti.” Sorrise “Ma ovviamente sono solo leggende. Spero che vi troviate bene, tu e la tua famiglia, quanti hai detto che siete? Quattro?” Tirò a indovinare.
“Cinque” risposi con un sorriso nervoso.

Il racconto prosegue, cliccate sulle pagine qui sotto…

LA CASA DEI MISTERI di Letizia Pagani – Primo Livello Bambini. Corso di Scrittura Online

LA CASA DEI MISTERI di Letizia Pagani
Primo Livello Bambini. Corso di Scrittura Online

Tutti sanno che in quella casa nulla è normale.
E’una casa di montagna.
Si trova in un prato, lontano qualche kilometro dal paesino lì accanto, a duemila metri di quota sul Monte Bianco.
La casa, più che una semplice baita, è una villa.
Disabitata da più di trent’anni.
Si dice che fosse abitata da una famiglia, i Cutloff, che aveva due figli, un maschio e una femmina, ma un giorno, si racconta, che essi scomparvero. C’è chi sostiene che in giardino ci siano i cani maledetti, cani con gli occhi rossi, guardiani della dimora che si cibano di carne umana.
Invece alcuni sostengono che dentro, non ci sono i fantasmi, ma gli zombie.
Nessuno sa com’è però all’interno.
Si dice in giro, che, una notte, il vecchio Smilt, passasse davanti alla villa.
Diceva di aver visto uno dei cani maledetti e sentito delle urla raccapriccianti provenire dall’abitazione.
Ma nessuno sa se è vero ciò che dice, visto che è sempre ubriaco fradicio.

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MAA LUONNON di Gaia Bigoni. Terzo Livello Bambini. Corso di scrittura online

MAA LUONNON
di Gaia Bigoni
Corso Bambini – Terzo Livello

“Sta per cominciare!”, esulta Serena, battendo le mani.
Lei e Kim sono sedute in prima fila, in teatro, per assistere allo spettacolo della presunta “strega” del Calice Rosso. Le tende rosso fuoco si scostano piano piano, rivelando una donna di mezza età, con un elegante abito blu notte e un paio di scarpe azzurre con tacchi di cinque centimetri. Cammina disinvolta come se su quel palco ci fosse nata, scruta gli spettatori uno ad uno coi profondi occhi verdi, che assomigliano molto a quelli di Serena, finché lo sguardo non si posa proprio sulle due ragazze.
Zelda fa un bel sorriso e, dopo un gesto fulmineo della mano destra, Kim e Serena si alzano di scatto e si dirigono verso il palcoscenico.
“Ma che stiamo facendo?”, sussurra Serena, con gli occhi sbarrati, mentre le gambe si muovono contro la sua volontà.
Kim si chiede lo stesso e in poco tempo si ritrovano accanto alla donna, che sorride maliziosamente.
“Bene bene.. allora, queste due belle ragazze mi faranno da assistenti!>”, decreta Zelda prendendo la mano alle due che, imbarazzate, se ne stanno lì in piedi ad attendere spiegazioni. Zelda scompare e riappare appena due secondi dopo, con in mano una fune marroncina. Serena fissa la scena, allibita, mentre la strega fa roteare la corda come se fosse rigida. Poi la passa a Kim, che la tiene con entrambe le mani. Zelda le dice di lanciarla in aria e lei esegue. Fra lo stupore degli ospiti e delle stesse aiutanti la corda si ferma a mezz’ aria, diritta come un palo. La strega, con un sorrisetto enigmatico stampato sul viso, ci si arrampica fino a raggiungerne la fine. A questo punto sussurra qualcosa di incomprensibile e la corda inizia a dimenarsi, mentre Zelda resta “in groppa” come fanno ai rodei. Dopo altri trucchi magici fantastici e sconvolgenti, la serata si conclude con gli applausi che durano ben dieci minuti filati. Le aiutanti fanno qualche inchino, poi abbandonano il palco accompagnate dalla “strega di teatro”.
Appena sono dietro le quinte, entrambe le ragazze non riescono a trattenere un sospiro di sollievo. Poi si rivolgono a Zelda: “Ma.. come hai fatto a far fluttuare la corda in quel modo? E poi.. quel gioco con gli specchi.. non avevo mai visto niente di simile!”, esclama Serena al culmine della curiosità. Zelda ridacchia sotto i baffi, ma poi torna subito seria. Non deve dimenticare il vero motivo per cui le ha invitate a teatro, che non era certo quello di farle diventare le sue assistenti magiche.
“Scusa, ma.. tu, con quel biglietto.. ti eri presentata come “strega”.. è una specie di.. nome d’arte?”, domanda Kim, che vorrebbe saperne di più su questa strana signora dal vestito luccicante. In fondo non la conoscono nemmeno, potrebbe anche essere pericolosa!
“No, piccola.. niente nomi d’arte! Sono davvero una strega, ma guardate come mi sono ridotta!”, esclama Zelda indicando il teatro oramai vuoto e le luci, in alto, ancora accese. Poi riprende il discorso, sotto lo sguardo sempre più allibito delle ragazze: “Dovete sapere che io vi avevo scelte da ormai molto tempo. Vi avevo osservate, anche se non ve ne siete mai accorte. Sapevo già che dovevate essere voi a riportarmi il mio caro Calice Rosso. Io non vengo dalla terra, ma da un luogo molto più misterioso, di cui nessun umano è a conoscenza. Non potranno mai scoprirlo, a meno che un essere di quel luogo non gliene parli.. e questo sarebbe proibito. Quindi potrete capire da sole che sto correndo un grave rischio, raccontandovi queste cose..” Zelda, adesso, sembra un fiume in piena. Non sta semplicemente raccontando, si sta sfogando. Deve togliersi un peso, un macigno che è molto più grande di lei e che la stava lentamente ma costantemente schiacciando. “Stop!”, la frena Kim, portando entrambe le mani davanti al viso. Ora è quasi convinta che quella che hanno davanti è una pazza. In fondo come biasimarla: non è facile digerire in un singolo minuto che una signora di mezza età è una strega che viene da un altro mondo.
“Dunque.. ricapitolando: affermi di avere davvero dei poteri fuori dal normale e che quelli che abbiamo visto sul palco non sono stati semplici trucchi? E poi.. che storia è quella del mondo che noi non dovremmo scoprire? Se fosse vero perché mai ce lo stai raccontando?”, una valanga di domande investe Zelda, come un fiume di acqua gelida in inverno. Serena blocca l’amica. E’ difficile credere a quello che aveva sentito anche per lei, ma in ogni caso aggredirla in quel modo non le sembra giusto, così le chiede di spiegare tutto dall’inizio, in modo da poter capire meglio la storia. 
”Certo, certo, avete ragione. Il fatto è che il mio mondo è in serio pericolo. Dovete sapere che molti anni orsono era una specie di enorme giardino fiorito. C’erano fiori, alberi, arbusti, erba e si viveva benissimo. Adesso, però.. un essere malvagio, di cui nessuno conosce il nome o il volto, si sta impossessando di tutti i Calici Rossi del nostro mondo, perché ha in mente di conquistarlo e assorbire tutta l’energia magica, in modo da diventare invincibile. Se questo dovesse accadere.. sarà la fine e non solo per il nostro mondo, anche per tutti gli altri. Compreso il vostro”, a sentire queste ultime parole le due ragazze rabbrividiscono.
“No, no, no.. aspetta un secondo! Io mi sono persa già dall’inizio! Ci sono altri Calici Rossi? E a che cosa servono esattamente? Nel biglietto sei stata piuttosto vaga.. e poi che significa che sarà la fine di tutti i mondi?”, questa volta neanche Serena riesce a trattenersi dal chiedere mille cose, tutte assieme. Zelda alza la mano destra e la ragazza si zittisce, senza bisogno di alcuna magia. La presunta strega si mette a sedere, con le gambe a penzoloni giù dal palco e invita le ragazze a fare lo stesso. Queste obbediscono, ma con un certo timore.
“Avete ragione a non fidarvi completamente di me. So che sono cose molto difficili da accettare e che tutto questo potrebbe assomigliare a una di quelle favole che leggevate da bambine. Ma dovete credermi: è la verità! Nei Calici Rossi c’è l’energia magica di ogni essere vivente del mio mondo, compresi i vegetali. Se il piano di quel mostro dovesse realizzarsi e se riuscisse davvero ad impossessarsi di tutti i Calici.. grazie al loro potere di apparizione e sparizione di certo farebbe volatilizzare nell’aria tutto ciò che di bello caratterizza il mio mondo. Su Maa Luonnon non ci sarebbe più nulla, diventerebbe un deserto di tristezza e odio. Il buio regnerebbe sovrano all’Infinito”, queste parole colpiscono le ragazze come frecce e in una sola lacrima Zelda racchiude tutta la sua frustrazione e il suo timore.
Serena ora sa che sta dicendo la verità.
“Ti credo. Però, per favore, spiegaci di più sul tuo mondo. Immagino che “Maa Luonnon” sia il suo nome.. Ti aiuteremo volentieri, vero?”, la ragazza cerca l’approvazione dell’amica.
“Certo, non possiamo permettere che tutto questo accada!”, le da manforte Kim, battagliera.
“Vi ringrazio molto per il vostro appoggio. Sì, Serena, Maa Luonnon significa “Terra della Natura” in finlandese. Sapete, potreste fare molto per me, ma non voglio farvi correre dei rischi inutili e non voglio nascondervi che sarà un viaggio rischioso”, le informa, facendo apparire dal nulla una carta geografica che rappresenta terre mai viste.
“Questa è Maa Luonnon?”, domanda affascinata Kim, sfiorando la cartina con l’indice della mano sinistra. Zelda fa cenno di sì col capo e un’espressione di nostalgia riempie i suoi già tristi occhi verdi, guardando con tenerezza ogni piccolo angolo della cartina, che conosceva minuziosamente. Luoghi di antica bellezza sconvolti da chissà quale essere mostruoso. Serena si accorge della totale assenza di Zelda, la quale si era persa nei ricordi, così le tocca leggermente la spalla con la mano un paio di volte, riportandola alla realtà.
“Scusate, ragazze, volevo farvi vedere alcuni luoghi, dovete tenerli bene in mente, mi raccomando”, così dicendo posa l’indice della mano destra in un punto che si alza come fosse in tridimensione, rivelandosi una parete rocciosa piuttosto alta . “Ecco, qui c’è il monte Kukka Maan, cioè “Fiore di Terra”. E’ ripidissimo, tanto che, come potete vedere, sembra proprio una parete. All’apice crescono i fiori di terra, e se vengono mangiati da persone senza magia, donano molti poteri. L’effetto dura 24 ore, al termine delle quali se si vuole prolungare l’effetto per altrettanto tempo, bisogna mangiarne altri”, Zelda continua a spiegare e passa la secondo luogo: “Questo posto si chiama, invece, Light Tulessa, ovvero “Brezza Infuocata”. Non è un nome a caso. Infatti quando tira vento forte, specialmente in questa stagione, ti puoi ustionare facilmente e anche molto gravemente. Sarebbe bene tenersene alla larga, durante il vostro soggiorno a Maa Luonnon. Infine questo luogo è il più importante di tutti. E’ il Triumph of Green, in italiano il “Trionfo del Verde”. Questa è la zona più bella di tutte, con le piante più rare e gli arbusti più profumati. E’ talmente carica di energia magica che basta sfiorarle per ricaricarsi completamente e guarire qualsiasi ferita. L’ Aurungonkukka on Kohtalon (Girasole del Destino) è il fiore più raro di tutti e può addirittura far rivivere delle persone morte. Ce ne sono pochissimi anche in quest’area, infatti vengono usati solo in casi di estrema urgenza. Tra l’altro è anche il posto in cui dimora il nostro re attuale, Henry Hurmus, una persona molto fedele e corretta, che però non riesce a reggere il confronto con quel mostro malvagio senza volto e senza nome. Ecco, questi sono i posti più importanti”, conclude Zelda, ripiegando la cartina e facendola scomparire nuovamente.
Le ragazze rimangono a bocca aperta.
“Ma se neanche il vostro re riesce a tener testa a quel mostro, come speri che potremo farlo noi? Siamo solo due ragazzine che, fino a pochi giorni fa, vivevano una vita normale.. non sappiamo nulla di magia!”, commenta Kim, che si guarda le mani come se da un momento all’altro potessero formare fulmini per colpire i nemici, un po’ come nei cartoni animati.
Anche Serena è della stessa opinione e poi ha anche una certa paura. “Zelda è abituata a fare magie, per lei questi luoghi dai nomi bizzarri sono completamente normali.. ma per noi..”, pensa, abbassando lo sguardo. “Voi potete fare moltissimo, ve l’ho già detto! Non siete come le altre ragazze della vostra età, voi siete speciali. Un po’ di magia scorre già dentro alle vostre vene, fidatevi di me! Non so esattamente per quale motivo, ma sento una grande forza magica che vi circonda e non è certo una cosa da ragazze qualunque”, afferma convinta la strega.
A questo punto le due amiche non sanno che cosa dire. Non hanno mai fatto magie, ma si fidano di Zelda.
“La vostra magia non è comunque abbastanza forte da manifestarsi senza un piccolo aiuto”, puntualizza la donna, che adesso è sospesa in aria a tre palmi da terra , “in fondo avete sempre vissuto in un mondo umano e non avete mai allenato i vostri piccoli poteri. Allora, accettate di aiutarmi?”, domanda a bruciapelo Zelda.
Non può perdere altro tempo, sa che Maa Luonnon è in gravissimo pericolo. Le due ragazzine si scambiano uno sguardo timoroso. Poi respirano a fondo, si prendono per mano e pronunciano la parola che le sta per trasportare in un avventura che non ha precedenti: 
”Sì”.
“Perfetto! Allora tenetevi per mano e prendete anche la mia”, intima, piena di nuova energia, la strega. Senza stare a farsi troppe domande le ragazze obbediscono e si ritrovano avvolte in un vortice di energia positiva luccicante. Di colpo vengono come risucchiate da un enorme buco giallo e arancio, che le getta lontano, in un posto mai visto. Alzando gli occhi vedono solo vegetazione fittissima, con alberi possenti, fiori colorati e molte altre piante dall’aspetto curioso. Stupite, Serena e Kim si alzano da terra e si guardano intorno. Si trovano proprio ai piedi del Kukka Maan. Vista in tridimensione sulla cartina non rendeva davvero l’idea, vista dal vivo fa ancora più impressione. E’ altissima e con piccole ma stabili sporgenze qui e là.
“E noi dovremmo.. scalarla? Non poteva teletrasportarci direttamente in cima?”, domanda Kim, atterrita da quell’insolito scenario.
Zelda scuote la testa un paio di volte: “Mi dispiace, ma non è possibile.. è proibito usare la magia per oltrepassare il monte Kukka Maan”, rivela Zelda, mentre inizia ad arrampicarsi. Adesso non indossa più il vestito luccicante, ma una divisa sportiva con tanto di funi per legarsi l’una all’altra. Le ragazze respirano l’aria pulita del luogo per darsi forza e afferrano le corde, muovendo i primi passi in verticale. Kim è l’ultima e posa male un piede su una sporgenza: scivola e resta appesa alla fune solo grazie allo stretto nodo magico fatto da Zelda all’altezza della vita.
“Kim! Tieniti stretta a questa corda!”, grida Serena, lanciandole una seconda fune che ha accuratamente legato a una roccia più sporgente delle altre. L’amica si aggrappa con tutte le sue forze e Zelda, già arrivata in cima, la tira su con un po’ di magia. Poi fa lo stesso con Serena, che è spossata per la lunga salita.
“Grazie!”, esclama Kim, appena posa i piedi a terra, al sicuro. Poi, però, si deve sedere perché le fa molto male la caviglia. Zelda tenta di curarla, ma non riesce a trovare la formula magica corretta. Serena prende da uno zainetto (fatto comparire dal nulla grazie a Zelda) una bottiglietta di acqua fresca. La porge all’amica che ne beve qualche sorso.
“Temo che per guarire questa brutta ferita non basti la mia magia. Purtroppo negli incantesimi curativi sono un disastro!”, la strega si rimprovera per non aver seguito più attentamente gli esami Parantava (curativi).
Kim le sorride, anche se il dolore è forte: “Calmati, non è niente di preoccupante. Tra poco potrò camminare nuovamente!”,
la tranquillizza, anche se non ne è davvero molto sicura. Ha un male insopportabile, come se ci fosse un coltello che le pugnala la caviglia ogni cinque secondi. Ma sa di dovercela fare.
“Forza, continuiamo..”, decide dopo qualche minuto, mettendosi in piedi a stento. Serena la sorregge e camminano lentamente verso il campo dei “fiori di terra”. Ce ne saranno miliardi e ognuno ha una tonalità diversa dall’altra, sono magnifici.
Zelda ne coglie sei e ne passa tre a Serena e altrettanti a Kim. “Mangiateli, dal primo all’ultimo petalo. Come vi ho detto vi doneranno poteri magici che vi insegnerò a gestire. Io intanto ne prendo qualcun altro di scorta..”, dice allontanandosi di qualche metro dalle ragazze, che intanto mangiano velocemente i fiori. Hanno un buon sapore, assomiglia al cioccolato bianco! Di colpo si sentono più potenti, invincibili. Una strana, nuova forza scorre nelle loro vene. Un’energia calda che le avvolge interamente. Le due amiche chiudono gli occhi e si lasciano trasportare in quel nuovo mondo, finché la trasformazione finisce e loro riaprono gli occhi. Zelda è li, in piedi, con le mani sui fianchi e l’aria soddisfatta.
“Bene.. sembra che i fiori abbiano fatto il loro dovere! Adesso provatemelo! Fate qualche magia, forza!”, le incita la strega. Serena e Kim strabuzzano gli occhi.
“Ma noi non abbiamo idea di come si facciano gli incantesimi!”, Serena non riesce neanche a finire di parlare, quando un’energia bianca esce dal suo palmo destro, aperto, e colpisce il terreno a pochi passi da lei. Si ferma e guarda il buco fangoso che aveva appena creato.
“Come hai fatto?”, le chiede, incredula, Kim. Per tutta risposta Serena scrolla le spalle e attende spiegazioni da Zelda, che sorride, compiaciuta, mentre osserva il buco come se lo dovesse analizzare dettagliatamente. “La riuscita degli incantesimi dipende da voi. Dovete pensare bene prima di agire e poi concentrarvi al massimo per non fare errori. Siete voi a gestire i poteri, per queste 24 ore, non dimenticatevelo! Potete fare ciò che volete, ma usateli con prudenza, potrebbero essere pericolosi!”, le avverte, mentre si sta già rimettendo in cammino. La discesa, adesso, è molto più facile e meno faticosa rispetto alla salita e riesce a calarsi dalla fune anche Kim.
Ora devono scegliere che strada prendere: quella più lunga ma sicura oppure la scorciatoia, decisamente più corta ma occorre percorrere la Light Tulessa. Le tre ci pensano su. Zelda sa perfettamente che per ogni minuto che passava una decina di piante sarebbero morte per colpa di quell’essere mostruoso, ma non vuole far rischiare niente alle sue giovani amiche.
Mentre Serena e Kim sono sicure di poter prendere la strada più breve: non possono permettere che succeda qualcosa di male a quel mondo meraviglioso. Alla fine Zelda si lascia convincere, con la promessa da parte di Kim che se si fosse sentita troppo male avrebbero intrapreso l’altra strada. Si incamminano verso un viale alberato, all’apparenza innocuo, ma dopo una cinquantina di metri sentono una fastidiosa brezza calda. Troppo calda. Serena mette una mano davanti al viso e sente un dolore penetrante al polso. Lo guarda velocemente: una piccola bruciatura le segna la pelle, come un taglio netto. Le fa malissimo, ma sopporta come fa Kim con la caviglia dolorante. Passo dopo passo il caldo aumenta e più di una volta hanno rischiato di bruciarsi anche molto gravemente. Per ora, fortunatamente, hanno solo qualche scottatura qui e la, ma la strega conosce bene quel luogo e sa che di lì a pochi metri sarebbe stato davvero difficile superare il calore della brezza. Camminano a testa bassa, finché Kim non riesce più a muovere un passo e si accascia a terra. Lì il calore è ancora più soffocante e la ragazza inizia a tossire. Serena la prende delicatamente tra le braccia e si concentra al massimo. Con uno sforzo immane riesce a tener sospesa in aria l’amica e sé stessa, trasportandosi faticosamente dietro ad un albero più grande degli altri. Lì la brezza non passa e la temperatura torna mite.
Zelda le segue e prepara con dei fiorellini e delle foglie secche trovate a terra una bevanda rinfrescante e riattivante. La fa bere per prima a Kim, che si riprende in un battibaleno, poi anche a Serena che è quasi priva di energie. La caviglia e il polso fanno ancora molto male alle ragazze, ma cercano di pensare solo all’insolita missione che devono svolgere.
Dopo essersi riposate per un po’, decidono di ripartire. Adesso sono piene di forze e, grazie a degli scudi creati con l’unione dei tre poteri magici, riescono a superare la terribile Light Tulessa. Ce l’hanno fatta!
Si accasciano a terra, esauste, e riprendono fiato. Poi Zelda si complimenta con le ragazze: “Non è da tutti oltrepassare un pericolo del genere!”, dice, soddisfatta. Ora, più che mai, è sicura di avere scelto le ragazze giuste. Si rilassano per qualche ora, all’ombra della tranquillità degli alberi fioriti. Procedono verso foreste impervie e attraversano un lago a nuoto, finché scorgono un luogo paradisiaco. Una specie di valle, circondata da querce che proteggono l’area dal vento e all’interno una specie di eccezionale moltitudine di colori. Era proprio come Serena e Kim l’avevano immaginato dai brevi racconti della strega: il Triumph of Green. Poi però il loro sguardo estasiato diventa triste: vedono un trono, nero come la pece, circondato dalla desolazione totale. E’ come un buco buio nella luce, impressionante e particolarmente pauroso. Ogni secondo che passa, una foglia o un fiore degli arbusti più vicini al trono, cade o appassisce. Poi scompare nel nulla, probabilmente grazie all’effetto di qualche Calice. E’ uno spettacolo orribile. La natura del posto più bello di Maa Luonnon sta morendo!
Il responsabile è seduto sul trono: un uomo avvolto da un mantello, anch’esso nero. Una figura incappucciata e minacciosa, che guarda fisso davanti a sé. Nel cuore di Zelda cresce l’odio per quell’essere meschino. E cresce ancora di più quando sposta lo sguardo verso il retro del trono: una gabbia in cui c’è rinchiuso un corpo umano, disteso a terra e con gli occhi chiusi. La strega impallidisce. E’ Henry, il re! Non da alcun segno di vita. “No, non è possibile..”, pensa, portandosi le mani alla bocca.
Quando le ragazze guardano nella stessa direzione non possono far altro che rabbrividire.
“Non può finire così!”, pensano nello stesso istante le due amiche che, senza dare alcun preavviso l’una all’altra, si alzano in volo e si dirigono velocemente verso il trono nero. Atterrano alle sue spalle e lo fanno con tanta precisione e agilità che il mostro non si accorge di nulla. Si scambiano uno sguardo di complicità e si concentrano al massimo. Un’energia potentissima si sprigiona dalle mani di entrambe e colpisce la schiena dell’uomo incappucciato che cade a terra, ma si rialza dopo pochi istanti.
Serena non crede ai suoi occhi: il loro colpo non è servito proprio a nulla! Pieno d’ira l’uomo si gira verso di loro. Non riescono a vederne il volto, solo il buio più totale. Cercano di correre però ma Kim cade a terra. Senza neanche pensare alle conseguenze, Serena si blocca e aiuta l’amica ad alzarsi, la quale invece la incita a scappare via. No, questo non l’avrebbe mai fatto. Intanto Zelda cerca di distrarre l’uomo incappucciato con qualche colpo magico, ma le forze le mancano. Ormai non è più giovane come una volta e i suoi poteri non gli fanno altro che il solletico. La strega si sente impotente davanti a quella che sembrava l’oscurità in persona. Si arrende dopo l’ennesimo incantesimo andato in fumo e non incassa molto bene quello potentissimo che arriva dall’essere demoniaco.
Cade a terra, completamente stremata. Adesso le ragazze sono davvero sole. Serena cerca di reggere Kim come può, ma non è tanto forte. Sente che sta per cedere anche lei, le 24 ore stanno per scadere! Presto sarebbero tornate ragazzine qualunque e i fiori di scorta li aveva ancora Zelda, a più di trenta metri da loro.
“E’ la fine..”, pensa sconsolata Serena. Non dovevano essere tanto precipitose. Le amiche chiudono gli occhi e si prendono per mano. Tengono stretta l’una quella dell’altra, mentre i loro corpi tremano. Succede l’impensabile. Una luce calda, più potente di qualsiasi altro incantesimo mai sperimentato, investe l’uomo incappucciato che finisce a terra. La figura minacciosa scompare e il trono ritorna d’oro brillante. Serena e Kim aprono timorosamente gli occhi. Sono tornate le ragazze normali di sempre, senza più alcun potere. Non sentono più l’energia di prima. La magia è finita. E loro sono salve. Si stringono in un abbraccio che vale più di mille parole e stanno così strette per qualche minuto. Poi, come catapultate nel mondo che le circonda, corrono verso Zelda. La strega è im
mobile e non respira più.
“Chi siete voi due, ragazzine?”, la domanda arriva come un fulmine alle amiche, che si voltano, impaurite. L’uomo che prima era in gabbia e che sembrava morto è lì, davanti a loro. Era semplicemente svenuto, nulla di più. E’ riuscito a liberarsi grazie ai Calici Rossi che il mostro aveva sottratto a diverse creature e che aveva erroneamente lasciato in gabbia insieme a lui. Le due raccontano brevemente la storia, poi a entrambe, contemporaneamente, vengono in mente i Girasoli del Destino.
Ne chiedono uno al re per salvare la vita della strega, ma lui, addolorato, risponde che purtroppo il mostro li ha distrutti tutti.
Non ne è sopravvissuto neanche uno. “Quell’essere che adesso è scomparso per sempre ha lasciato dietro di sé una scia di odio e distruzione che ora non potrò riempire. Mi dispiace”, dice sinceramente Henry.
“No, no.. no!”, gridano le ragazze, stringendo i pugni e inginocchiandosi vicino al corpo inerme della loro amica. Un’amica preziosa, una di quelle amiche che non puoi dimenticare. Nello stesso istante una lacrima scivola dai visi di Serena e Kim. Una lacrima che cade sul suolo e che si congiunge in una sola piccola pozzetta d’acqua. In questo piccolo punto cresce dell’erbetta nuova, verde e rigogliosa e all’esatto centro in pochi secondi appare uno splendido girasole dorato. Il re non riesce a crederci: da quelle due lacrime è nato un Aurungonkukka on Kohtalon! Una fiammella flebile di speranza si riaccende nei cuori delle due ragazze, che, sotto istruzioni del re, colgono il particolare girasole e staccano ad uno ad uno i cinque petali, posandone due sulle braccia, due sulle gambe e uno al centro della fronte.
Poi si danno nuovamente la mano e recitano, in coro, l’incantesimo della guarigione profonda: Loitsu Syva Parantasvaa! Zelda viene avvolta da una luce bianca, tanto abbagliante che le ragazze devono coprirsi gli occhi.
La magia dura pochi secondi e, sotto lo sguardo vigile del re, la strega finalmente ricomincia a respirare regolarmente.
Appena si riprende del tutto Serena e Kim la sommergono in un abbraccio strettissimo e pieno di affetto reciproco. Zelda non riesce a dire altro che: “Grazie”.
“Le ragazze sono riuscite a salvare Zelda grazie alla loro amicizia. Sono unite, si aiutano a vicenda, si vogliono bene come fossero sorelle. E so che continueranno a farlo”, sussurra Henry.
La vita a Maa Luonnon riprende il suo normale circolo. La magia continua a vivere in ogni angolo e la natura è ancora più vigorosa di prima. Grazie alle lacrime delle ragazze i Girasoli del Destino hanno ripreso a crescere e non saranno più tanto rari come una volta.
“Ragazze.. visto che avete salvato il nostro mondo avete il permesso di tornare a trovarci quando volete! Vi saremo eternamente riconoscenti”, dichiara Zelda, al momento dei saluti.
“Grazie.. e tu sei sempre la benvenuta nel nostro mondo. Non sarà magico, ma ha degli splendidi posti da visitare. E comunque.. sappi che ti aspettiamo per fare ancora le tue aiutanti!”, ride Serena, entrando dentro al portale colorato che le trasporta direttamente a casa. Questa, sicuramente, è un’avventura che rimarrà sempre impressa nei loro cuori.
In quei due cuori così uniti che sono riusciti a sconfiggere il Buio in persona.

LO SCONOSCIUTO di Gaia Bigoni. Secondo Livello Bambini. Corso di scrittura online

LO SCONOSCIUTO
di Gaia Bigoni
Secondo Livello- Corso Bambini

Quel giorno uscii da scuola alle 11:00. Non ne ricordo precisamente il motivo, forse un professore assente.

Decisi di prendere una scorciatoia per andare a casa di zia Luisa, perché il tempo prometteva un bel temporale da lì a dieci minuti. E quello era proprio il tempo che solitamente impiegavo quando decidevo di prendere la strada più breve, ma un fatto insolito mi trattenne a metà strada.

Notai che la villetta dove neanche una settimana prima c’era ben affisso un cartello con scritto “VENDESI” era stata finalmente comprata da qualcuno. Mi incuriosii, così sbirciai dal marciapiede l’interno della casa da una finestra lasciata stranamente aperta. Non feci in tempo a distinguere un bel lampadario colorato e un tavolo di legno tondo quando la porta si spalancò e una vecchietta sorridente uscì a passo svelto.

<Buongiorno..> la salutai, osservandola. I capelli, bianchi e folti, erano raccolti in uno chignon e indossava una gonna lunga rossa e un maglione arancio. Ai piedi aveva due apparentemente scomodissime scarpe intonate al cappellino giallo acceso. Sembrava un arcobaleno di allegria.

Mi rispose educatamente, squadrandomi a sua volta. Mi sentii un po’ a disagio, soprattutto quando mi invitò ad entrare. Forse avrei dovuto rifiutare, ma ero talmente incuriosita da quella arzilla vecchietta che non riuscii a dirle di no. Appena superai la soglia un profumo di rosa mi investì. L’atmosfera era calda ed accogliente, sembrava di essere in una di quelle case delle favole, dove tutto intorno sa di magico.

Mi portò in cucina e chiuse cautamente la finestra da dove avevo sbirciato pochi minuti prima. Sembrava l’avesse lasciata aperta solo per me, per poter stuzzicare la mia curiosità.

<E’ arrivata da molto in città?> mi decisi a chiederle, dopo qualche minuto.

<No, da tre giorni.. Ma dammi del tu, per favore. Il fatto del “lei” mi fa sentire vecchia!> rispose sorridendo. Annuii osservando ancora una volta quella bellissima cucina.

Intanto sentii qualcosa che mi toccava delicatamente la caviglia. Mi chinai e vidi una graziosa, piccola tartarughina che cercava di attirare la mia attenzione.

<Che bella! Come si chiama?> chiesi, osservando il guscio verde acceso.

<Rina. Mi sembra che tu le stia simpatica, solitamente non dà confidenza agli sconosciuti> sorrise la vecchietta, prendendo delicatamente in braccio la tartaruga.

<Scusa, non mi sono neanche presentata.. Mi chiamo Vivian, piacere.> disse poi, sedendosi sulla poltrona di fianco a me.

<Io sono Beatrice> aggiunsi, mentre Vivian si rialzò nuovamente e sparì al piano superiore, lasciandomi lì senza dire una parola. Spalancai gli occhi e mi chiesi se avessi fatto bene ad accettare il suo invito ad entrare in casa. In fondo non la conoscevo neanche e zia Luisa si era raccomandata tante volte di ricordarmi di non dare confidenza agli sconosciuti. Stavo meditando una buona scusa per tagliare la corda, quando Vivian “riapparve” sulla soglia e mi fece cenno di seguirla.

“Che cosa vorrà fare?” mi chiesi, ma decisi di assecondarla e di salire, dietro di lei, le scale che portavano al piano superiore. Davanti a me c’era una bellissima mansarda che, nel suo disordine, aveva qualcosa di affascinante, oserei dire quasi.. magico.

Poi la vecchietta si avvicinò a un baule dall’aria misteriosa. Era piuttosto grande e dentro di me già formulavo mille e più ipotesi fantasiose sul cosa potesse celare.

Successivamente tutte le mie idee svanirono in un colpo solo: la donna aveva tirato fuori dal baule solo un fiocco rosso fuoco, uno di quelli per legare i capelli. Restai delusa e probabilmente dalla mia faccia si intuiva ogni mio pensiero, perché la vecchietta si affrettò a spiegarmi che quel fiocco non era quello che sembrava. Avrei voluto chiederle ciò che pensavo, e cioè se era impazzita di colpo, ma mi trattenni e continuai a guardare, allibita, lo strano fiocco. Era bello, sì, ma non aveva nulla di speciale.

<Me lo regalò mia figlia, prima di partire per New York per approfondire i suoi studi di medicina. Ma il fatto è che questo fiocco è magico, non è normale.> quando Vivian pronunciò questa frase, confermò la domanda che avevo in mente.

<Ok, se è uno scherzo non mi piace. E poi, scusami, ma devo tornare a casa. Mia zia sarà in pensiero e..> la vecchietta non mi lasciò finire la frase e mi trattenne per un braccio.

<Non è affatto uno scherzo. Questo fiocco ha il potere di esaudire il tuo più grande desiderio. Io ne ho già espresso uno e si è avverato. Successivamente ho avuto il dovere di cercare una degna erede per consegnarlo a mia volta.. ed eccoti qui. Anche tu potrai esprimere il tuo desiderio quando vorrai, ma pensaci bene perché, come ho già detto, ne potrai esprimere soltanto uno. Poi lo regalerai a chi pensi che lo meriterà. Ti prego, tienilo, è importante!> mi supplicò e, a quel punto, nei suoi occhi si lesse chiaramente che stava dicendo la verità, non stava farneticando e non mi stava prendendo in giro. Decisi di crederle.

Uscii da quella casa affannata e con il fiocco magico al sicuro, in tasca.

Come previsto i nuvoloni neri stavano scaricando con tutta la loro potenza una fittissima pioggia, così aprii l’ombrello e corsi verso la casa di zia Luisa.

Il giorno seguente, quando uscii da scuola alle 13:00 come al solito, decisi di passare nuovamente per la scorciatoia. Non potevo certo sapere che la vecchietta si era nuovamente trasferita. Evidentemente quel desiderio che aveva espresso era legato alla fortuna nello studio di sua figlia. Probabilmente, la raggiunse a New York. Ma non lo seppi mai.

 

<Mamma..è tuo questo bel fiocco rosso?>.

<Si, tesoro.. Me lo regalò una signora molto molto speciale. Vuoi che ti racconti la sua storia?>.

LO SCONOSCIUTO di Francesca Arcangeli
. Secondo livello Bambini. Corso di scrittura online

LO SCONOSCIUTO di Francesca Arcangeli
Corso Bambini- Secondo Livello

Era una sgargiante serata di fine ottobre. Il cielo aveva sfumature rosso cremisi e gli ultimi uccelli svolazzavano allegri verso il proprio nido. Passeggiavo per una vecchia strada di campagna fatta di sporco e consunto asfalto, per una destinazione a cui non dovevo neanche pensare. I miei piedi l’avevano percorsa così tante volte nell’estate che ormai ci avevo fatto l’abitudine. Un leggero ma gelato vento scompigliava i miei capelli gettandoli all’aria e il mio naso iniziava a congelare, ma ero troppo presa dai miei pensieri per badarci, pensieri così complicati che avrebbero mandato in tilt chiunque. La scorsa notte infatti avevo fatto il solito sogno ricorrente, ormai era un abitudine ma mi colpiva lo stesso e nel frattempo mi irritava, si mi irritava perché tutte le volte che lo facevo avevo la sensazione di essere vicina a scoprire qualcosa e che, all’ ultimo momento, mi sfuggiva. Nel sogno mi trovavo in una stanza, aveva le pareti strette e dal soffitto proveniva un illuminazione a luce violetta, senza però bisogno di un lampadario o delle lampadine per estenderla. Il pavimento era di sabbia e non c’erano finestre o porte, a eccezione di una piccola porticina fatta di marmo bianco. Nel sogno mi avvicinavo alla porta e la spalancavo. Dietro la porta trovavo un’ altra stanza, la pareti coperte di antichi ritratti di dame e cavalieri in armatura ma non era lì che dovevo andare, avevo la sensazione di dover andare urgentemente avanti. Passavo un’altra porta, questa volta di legno laccato, e giungevo in un’altra stanza, questa volta rotonda e guardavo su, sul soffitto, dove era raffigurato un sole dorato e rifinito perfettamente congiunto con una mezza luna di un bianco splendente che emanava come un magico bagliore e, dopo questa scena, il sogno finiva. Il bello era che quel simbolo mi ricordava qualcosa ma ogni volta che cercavo di ricordare c’era come una foschia nel mio cervello, come un buco vuoto. Avevo cercato quel simbolo da tutte la parti, su tutti i libri di miti e leggende su cui riuscivo a mettere le mani e tutti quelli che i miei genitori non mi confiscavano. Ma dopotutto loro non erano i miei veri genitori. Avevo vissuto per un anno insieme a mia nonna, l’unica mia parente ancora in vita e quando anche lei morì mi trasferì dal fratello di mio papà, non che non avessi potuto andarci anche prima ma la nonna voleva tenermi con se, diceva che loro non capivano quanto ero importante. Anche solo la parola suonava strana, importante come no, i miei zii neanche mi guardavano. Tutti mi trattavano come se non esistessi e io non mi sono mai lamentata, anzi, a me faceva piacere. L’unica che mi considerava, purtroppo, era la figlia dell’ amica-vicina di casa di mia zia, che non la smetteva mai di prendermi in giro perché non avevo i genitori. In realtà della mia vera madre e del mio vero padre non sapevo veramente nulla, erano scomparsi così senza lasciare traccia o almeno era quello che mi diceva sempre la nonna, eppure vedevo una strana luce nei suoi occhi quando ne parlava, una luce di nostalgia. Avevo camminato per metri e metri senza accorgermene, come sempre. Erano quasi le sette e decisi di svoltare per tornare a casa, la zia si sarebbe arrabbiata ancora di più se avessi fatto tardi per la cena. Tornavo in dietro lentamente come sperando che più tempo rimanevo su quella vecchia strada meno ne passavo nella villetta dei miei zii. Una speranza inutile, lo sapevo già, tanto avrei dovuto passarci una vita intera! Svoltai all’angolo sbagliato e mi trovai in vicolo cieco. In fondo c’era una figura bassa e incappucciata, si avvicinò zoppicando vistosamente e riuscì ad intravedere appena il suo volto alla luce del tramonto. Era un uomo anziano, una cicatrice gli partiva dall’occhio destro fino ad arrivare alla piccola bocca storta e sottile. Aveva la pelle rovinata dal tempo e mi fissava con due piccoli occhi rotondi e neri come la pece. Solo quando fece un altro passo zoppicante in avanti mi accorsi che era vestito in maniera alquanto strana: portava un cappello a bombetta rosso acceso che non si intonava molto ai suoi capelli di un biondo sporco lunghi fino alle spalle. Le sua maglia era piena di strappi e cuciture, di un verde foresta e era abbinata malamente a dei pantaloni lunghi e neri rattoppati con stoffe di diversi colori come verde acido o blu notte. Qualunque persona normale di testa sarebbe scappata via urlando, ma non io, io rimasi lì a fissare quell’uomo dall’aspetto spaventoso, guardando il suo volto duro e solcato dalle rughe e dal tempo ma che, dietro a quegli occhi, nascondeva ancora qualcosa di umano. All’improvviso parlò con una voce dura e rauca: << Allora ragazza tu sai perché sono qui vero?>> mentre parlava si avvicinò ancora di qualche passo.
<>, sinceramente non ne avevo proprio idea. Non l’avevo mai visto, figuriamoci se sapevo che cosa ci faceva lì. Magari era un vecchio parente? Impossibile, me lo sarei ricordato: guarda com’era vestito! Frugai nella memoria ma alla fine mi arresi al fatto che per me era un perfetto sconosciuto e che non sapevo per quale assurda ragione si trovasse in un vicolo buio, di notte e per giunta stesse parlando con me.
A quanto pare interpretò il mio silenzio come un no perché aggiunse un po’ spazientito: << Bene, allora mi toccherà spiegarti tutto dall’inizio. Sai almeno chi sei?>>
A questo punto ero un po’ confusa, forse aveva preso una botta in testa o quella stupida bombetta gli bloccava la circolazione? Certo che sapevo chi ero! Stavo per rispondergli ma mi interruppe: <> disse con un tono di voce che sfiorava l’esasperato.
<< Tu sei un lupo.>>.
Si, a questo punto era chiaro che aveva preso una bella botta in testa. Prima che potessi dire qualcosa, però, mi interruppe di nuovo e disse: <> si frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un amuleto. Quasi urlai dall’eccitazione: attaccata a un piccolo filo d’argento c’era l’immagine dei miei sogni, un sole dorato congiunto con una luna brillante. Notai poi che anche lui aveva lo stesso medaglione, ma cosa significava? Forse aveva veramente ragione, ero davvero un lupo? Ormai tutto era possibile. Lo presi tra le mie dita tremanti e me lo infilai al collo, l’effetto fu immediato. Di colpo mi sentì forte e non più fragile come ero prima. Una bellissima sensazione di libertà mi invase da capo a piedi.
<> all’improvviso si trasformò in un grosso lupo marrone e sparì correndo per la strada ormai illuminata solo dal chiaro della luna. Il giorno dopo lo rincontrai e il giorno dopo ancora e, dopo una serie di dettagliate istruzioni, decisi che la sera del giorno seguente avrei provato a trasformarmi.
Così, a mezzanotte di sabato, corsi fuori e andai in un bosco lì vicino. La luce della luna si risplendeva nei miei occhi preoccupati. Magari era stato tutto uno scherzo, impossibile, lui si era trasformato no? Mi concentrai, come aveva detto lui, su un ricordo sereno, il più bello che avessi mai concepito. Pensa, pensa e poi un’ immagine mi venne in mente: la foto dei miei genitori nel salotto della nonna tanti anni prima, sorridenti e felici. Un istante prima ero lì a pensare e un istante dopo correvo. Le mie zampe grandi e bianche come la neve solcavano il terreno veloci e sicure, i tagli dei rovi si rimarginavano subito e sentivo delle voci nella mia testa, dei sussurri. Dopo un po’ che gli ascoltavo capì che erano pensieri, pensieri di persone vicine e lontane da me. Quindi riuscivo a leggere nella mente, ecco il mio potere unico. Mentre provavo a concentrarmi su un singolo pensiero per ascoltarlo scorsi il mio riflesso in un laghetto lì vicino: una grande, bellissima lupa bianca come la luna mi restituiva lo sguardo fiero e poi un ululato lacerò la notte, il mio ululato, un urlo di trionfo per il fatto che finalmente non mi sentivo più fuori posto, che finalmente ero libera. Nelle settimane seguenti appresi che esisteva un posto dove tutti i muta-forma vivevano insieme. Lasciai la mia vecchia e odiata casa per raggiungere quel luogo, un luogo in cui c’erano persone che mi accolsero come un’amica. Il vecchio che avevo conosciuto mi seguì, restammo amici per sempre perché lui mi aveva dato una mano, lui mi aveva portato in un mondo dove finalmente mi sentivo a casa, il mio mondo, il mondo da dove non sarei mai uscita.

Francesca Arcangeli

LA CASA DEI MISTERI di Isabel Sacchetti. Primo livello Bambini. Corso di scrittura online

La Casa dei Misteri di Isabel Sacchetti

Corso di scrittura bambini – Primo Livello

 

Siamo a Londra nel 1871.
A ovest, nascosta alla città dagli alberi di Regent’s Park, c’era una casa che tutti chiamavano “Casa dei misteri”.
Era una villetta con tante stanze: due camere da letto con letti a baldacchino, due comodini di legno e vecchie lampade a gas, un ampio salotto con un camino sporco di cenere e c’era anche un grosso divano con la copertura blu bucata, due sedie di pelle ormai graffiata, una grossa soffitta polverosa con nascoste strane mappe e lenzuoli strappati, una scala portava giù in una grande cucina, con un ghiacciaio una dispensa con dentro solo farfalle e insetti morti e una scatola di pane ammuffito. Un’altra immensa scala  portava ad altre stanze sempre chiuse a chiave con delle porte di legno  diroccate. Fuori c’era un grosso cortile d’erba con pochi alberi morti e fiori secchi anche in piena estate.
La chiamavano casa dei misteri perché, ogni notte, a mezzanotte in punto dalla casa provenivano ululati e rumori sinistri, che spaventavano la città.
Era abitata da un vecchio fantasma che stava in soffitta tutto il giorno e faceva altri rumori che la gente non gradiva affatto.
Un giorno iniziò a girar voce che qualcuno sarebbe andato ad abitare in quella casa, e infatti qualcuno arrivò. Era una famiglia, composta dal signor Bartolomeo Wordigan, da madam Maria Mistrò e da un bambino curioso di nome Fabian Wordigan. Il signor Wordigan era una persona un po’ cicciotta con pochi capelli ed era molto spiritoso, la signora Mistrò era una signora magra coi capelli corti biondi e ricci, pensava sempre in modo positivo, come si vedrà nel corso della storia e il signorino Fabian era  un bambino alto con capelli castani e con una personalità veramente vivace. Tutti li guardavano male, perché nessuno era mai andato ad abitare in quella casa.
Appena entrarono una nuvola di polvere gli coprì gli occhi e quando riuscirono a riaprirli davanti a loro si presentò uno spettacolo tremendo: tavoli e sedie ribaltate, vasi di fiori rovesciati, acqua dappertutto, perfino topi che zampettavano e si infilavano nei buchi della parete.
Ma madame Mistrò non si scoraggiò e disse in tono solenne: -Noi la rimetteremo a posto e scacceremo via tutti quei brutti topastri!-. Bartolomeo Wordigan e Fabian non erano tanto convinti ma annuirono lentamente con il capo.
La casa era un vero disastro e per riordinarla correttamente ci sarebbe voluta almeno una settimana e madame Mistrò ne era consapevole.
Quel curiosone di Fabian andò subito ai piani superiori  a sbirciare le stanze chiuse a chiave e quando provò ad aprirle e  le trovò chiuse ci rimase molto male. Allora sbirciò nel buco della serratura e vide una cosa che lo colpì molto: da una parte lo spaventava e dall’altra lo incuriosiva sempre più.
Dentro la stanza c’era nientemeno che…….una grossa sfera rossa che lampeggiava ad intermittenza, poggiata su un tavolo di legno d’ebano. Appena la mise a fuoco subito distolse lo sguardo dalla sfera, o meglio dire cercò di distogliere lo sguardo dalla sfera. Era come se quella sfera lo tenesse imprigionato lì, per punirlo di aver  ingordamente  spiato dalla serratura.
Intanto ai piani bassi, madame Mistrò  e suo marito stavano cominciando a rimettere in ordine la casa partendo dal salotto. Erano le 20,00 quando avevano appena finito di spazzare la polvere e tirare su l’acqua e i vasi rovesciati e gli venne fame. Decisero di mangiare del pane con spalmato del pomodoro e dissero:- Fabian vieni a mangiare!- Fabian sentì ma non riusciva a parlare perché quella sfera lo teneva imprigionato lì a guardarla. Quando Maria andò a cercare Fabian e lo vide imprigionato lì mancò poco che svenne. Chiamò suo marito e insieme decisero di chiamare il dottor Buramon, che era specializzato in: casi senza ipotesi. Era molto ricco ed abitava a Kensington.  Il dottor Buramon era un vecchio signore coi capelli bianchi, gli occhiali quadrati e due baffetti anch’essi bianchi. Portava un camice bianco con una taschina da dove spuntavano un block-notes e un tappo di biro che lui portava sempre con se. Appena arrivato alla casa rimase sbalordito dal disordine ma fece finta di non notarlo.
Quando vide il bambino attaccato alla sfera lo staccò con la forza  e vide che i suoi occhi erano rosso sangue fissi sulla serratura e il corpo tremava tutto. Gli diede subito una medicina di nome: “Scindie  per casi disperati”.
Poi disse ai genitori: – Fra qualche ora tornerà come prima- questa frase rassicurò  madam Mistrò e il signor Wordigan, ma non li tranquillizzo del tutto.
Un  paio d’ore dopo come previsto Fabian si svegliò e si promise di non spiare più nel buco della serratura.
Scese e trovò il dottor Buramon che parlava coi suoi genitori, si nascose sotto la scala per ascoltare senza essere visto. Stavano parlando del fatto che in giro per la città girovagava un vagabondo; nessuno sapeva il suo nome si sapeva solo  che abitava a  Lambeth.  La mattina dopo Fabian uscì per dare un’occhiata alla sua nuova città. Stava passeggiando a Leicester Square quando si scontrò con una bambina – Ciao io sono Penny, Penny Lisley. E tu?-  chiese la bambina. – Io sono Fabian Wordigan, piacere di conoscerti Penny.- Penny Lisley era una bambina alta con dei  capelli corti biondi, due grandi occhi marroni e delle lentiggini marroncine. Lei era molto originale, si vestiva stravagante anche se i suoi  genitori erano molto ricchi. Penny era molto simpatica e chiese: – Oggi posso venire a casa tua?-  -Certo! Dai vieni, non abito molto lontano.-
Appena Penny arrivò davanti alla casa  per poco non urlò poi chiese:-Ehm tu….abiti qui?-
-Sì- rispose Fabian – La mia mamma l’ha messa a posto insieme a mio papà, ora e bella, oggi volevo vedere il fantasma. Ti va?-  Penny annuì e con un po’ di timore entrò con il suo nuovo amico nella casa.

Fabian entrò e disse:- Mamma ho una nuova amica- Penny e madame Maria si presentarono e andarono subito molto d’accordo, tutti insieme bevvero una cioccolata calda, senza papà perché era andato a Pentonville a cercar lavoro.
Penny e Fabian andarono  in soffitta a cercare il fantasma, quando salirono e non lo trovarono stavano per tornare indietro quando eccolo lì sbucare fuori! Era proprio trasparente, aveva un mantello e aveva due grossi baffi. Penny e Fabian urlarono e scapparono di sotto.
La mattina dopo Fabian si alzò di buon ora e andò a suonare a casa di Penny. Lei scese subito e insieme andarono a passeggiare a Trafalgar Square. Fabian raccontò che il fantasma era sparito ed aveva infestato un’altra casa. Penny batté le mani  felice.
Poi però videro il vagabondo, iniziarono a correre verso la casa di Penny ma lì c’erano troppe carrozze e non si riusciva a passare andarono allora verso la casa dei misteri entrarono chiusero il chiavistello e raccontarono tutto a madame Maria Mistrò che li fece sedere sul nuovo divano a bere una tazza di thè. Poi videro a parlare con il signor Wordigan  il dottor Buramon, ma in un angolo della cucina c’era il vagobondo legato e imbavagliato anche il signor Bartolomeo era legato alla seggiola chiamarono madame Mistrò che appena vide la scena svenne.
Il dottor Buramon fece una risata maligna e gli occhi gli uscirono fuori dalle orbite.
Poi si gettò al loro inseguimento, Penny e Fabian scapparono corsero dentro Hyde Park  si nascosero dietro un albero sperando che non li vedesse. Ad un  tratto arrivò una carrozza con uomini armati che presero il dottor Buramon e dissero:-Lui è un ricercato, è pazzo e andrà dritto in prigione- poi ringraziarono i bambini di averlo scovato e rientrarono nella carrozza.
Fabian e Penny tornarono a casa liberarono il signor Wordigan, risvegliarono madame Mistrò  e liberarono anche il vagabondo che si scoprì che si chiamava Umberto Daing, era una persona normale tutti lo chiamavano così perché viaggiava sempre e  rivolgeva la parola in modo brusco a chi gli chiedeva informazioni, poi tornò a casa sua dove c’era ad aspettarlo il suo cane.
La settimana dopo il signor Bartolomeo tornò a casa felice dicendo di aver trovato lavoro come cocchiere, Penny e Fabian diventarono molto amici e la città non considerò più ne la famiglia ne Umberto strani.
Il giorno dopo la regina li chiamò per ringraziarli di aver risolto il caso e gli regalò un servizio da thè. Tornando a casa Fabian disse:-Secondo me, incontreremo altri misteri in questi anni- -Hai ragione. Però noi naturalmente li risolveremo!- e tutti e due si misero a ridere.

 Isabel Sacchetti

LA CASA DEI MISTERI di Gaia Bigoni. Primo livello Bambini. Corso di scrittura on line

La Casa dei Misteri di Gaia Bigoni

– Corso bambini – Primo Livello

 

E’ il 20 gennaio e nevica fitto fitto. Sono in casa, da sola, e osservo dalla finestra i fiocchi che scendono lentamente. Vivo su una collina, proprio accanto al suo esatto centro. Ed è dalla mia cameretta che riesco a scorgerlo, insieme a quella nebbia che non lo abbandona mai. Chissà perché, non mi sono mai avvicinata a quel castello spettrale. Mi fa venire la pelle d’oca solo pensare a quella cancellata che lo circonda, nero come le piume del corvo e con degli spuntoni come punte delle lance preistoriche.

 <Chissà se ciò che mi ha raccontato Erica è la verità..> dico tra me e me, seguendo con lo sguardo un fiocco di neve che, trasportato da un soffio di vento, va a posarsi dentro al grande giardino del castello abbandonato.

 Erica è la mia migliore amica, andiamo a scuola insieme.

 Io mi chiamo Noemi e ho dodici anni.

 <Noemi, lo sai che cosa mi ha raccontato mia nonna? Hai presente quel vecchio castello, vicino a casa tua? Mi ha detto che, centinaia di anni fa, ci vivevano due strani signori. Avevano all’incirca l’età dei nostri genitori, sui 38. Beh, loro avevano l’abitudine di uscire alle 6:00 del mattino e di ritornare sempre alle 12:00 in punto. Non sgarravano mai di un minuto, sembravano dei robot programmati per fare sempre gli stessi gesti, gli stessi movimenti. Un giorno, però, sbagliarono. Era il 20 di gennaio, e nevicava tantissimo, un po’ come oggi, dunque. La signora indossava un gilet di lana molto pesante e spesso che, al ritorno, si è impigliato nell’albero di fianco al castello. Il marito ha cercato di aiutarla, ma più tiravano più la lana si intersecava con la neve e i ramoscelli. Sembrerebbe che, alle 12:01, i due siano spariti, nel nulla, senza più lasciare loro notizie. Strano, vero?>.

Ecco, adesso sapete ciò che mi ha spiegato la mia amica. Già, proprio strano. Chissà, magari è una semplice leggenda. Ma io sono sempre stata curiosa e adesso mi sono intestardita: voglio assolutamente andare a fondo di questa faccenda!

Mi alzo e mi infilo in fretta un maglione rosso porpora. Mi metto un paio di anfibi che arrivano poco sotto al ginocchio, un cappotto e prendo la borsa con dentro le chiavi di casa, dei fazzolettini e un piccolo blocco con una penna. Ho intenzione di interrogare qualche passante, in modo di scoprire qualche informazione in più. Appena apro la porta per uscire, sento la pelle del viso gelarsi. Fa davvero un gran freddo, sembra quasi di essere al polo nord! Cammino lentamente e mi apposto vicino alla fontana, ormai ghiacciata completamente, aspettando pazientemente che qualcuno passi. La prima che vedo è una vecchia signora che vive di fronte a me e, data l’età, penso che potrebbe essere un buon soggetto per iniziare. Mi avvicino e la saluto. La vecchietta, sempre sorridente, contraccambia il “buonasera” e fa per continuare la passeggiata, ma io sono più veloce e le chiedo: <Mi scusi, lei sa qualcosa su quel vecchio castello? Sa… devo.. Fare una piccola ricerca per la scuola e mi sembrava un buon soggetto!> mi invento, sperando che la signora non abbia niente di urgente da fare. Per la prima volta, da quando l’ho conosciuta, ho visto il suo viso oscurarsi. <Mi dispiace, ma temo che dovrai cambiare argomento. Quello non è proprio il castello più adatto sul quale svolgere una ricerca, te lo assicuro. Perché non provi con qualcosa di più classico, che so.. La torre di Pisa?> propone la vecchietta, riprendendo lentamente a sorridere. <Ehm.. Perché no?! Grazie mille, mi è stata di grande aiuto..> farfuglio, fingendomi di buon umore. Dentro di me, però, i punti interrogativi si fanno più grandi. “Perché mai non ha voluto parlarmi di quel castello? Cosa ci sarà di tanto orribile?” penso, guardando la signora allontanarsi a grandi passi, facendosi strada tra i grandi cumuli di neve ammucchiati. “Ok, io non mi arrendo! Proverò con un altro passante!” decido, facendo il grave errore di sedermi sulla fontana ghiacciata. Mi rialzo in piedi come se ci fossero stati mille chiodi appuntiti e torno alla posizione iniziale: in piedi, con le mani (ormai quasi ghiacciate anche quelle..) nelle morbide e calde tasche del cappotto. Aspetto per almeno dieci minuti e non passa anima viva. Decido di appostarmi un po’ più a destra, dove passa un po’ più gente, ma quasi non faccio in tempo a pensarlo che vedo un signore in lontananza camminare nella mia direzione. “Fantastico, quello è lo spazzino Jim! E’ simpaticissimo e sicuramente saprà qualcosa su quel castello, lavora qui da molto tempo..” penso, tornando sorridente. <Buonasera, Jim! Come stai?> gli chiedo, agitando la mano. Per me è come uno zio, spesso viene addirittura in casa ad aiutarmi a fare i compiti quando mamma e papà sono troppo impegnati col lavoro, oppure quando ero più piccola mi leggeva le favole.. Insomma, ho tanti bei ricordi legati a lui! <Oh, ciao piccola! Cosa ci fai qui fuori, nevica fortissimo! Dovresti essere a casa a sorseggiare una buona cioccolata calda!> mi dice lui, facendomi l’occhiolino per sottolineare le ultime parole. <Si, adesso rientro.. È solo che mi servirebbe il tuo aiuto!> tento, sperando che non rimanga sul vago anche lui. Appena Jim annuisce, chiedo immediatamente di spiegarmi qualche cosa sul castello, senza aggiungere la bugia del compito: con lui posso essere sincera. <Veramente.. Preferirei non parlare di quel castello, non è il posto per voi ragazzi! Piuttosto.. Perché non vai davvero a berti quella cioccolata calda, su!> mi incita, indicando casa mia. “Non è possibile!” penso, sgranando gli occhi. <Ma.. Perché non me ne volete parlare? Che cos’ha di tanto brutto quel castello?> insisto, sperando che ceda. Ma Jim è irremovibile e non mi resta che tornare a casa, sotto il suo occhio vigile che controlla ogni mio movimento. “Altro buco nell’acqua..” penso, sconcertata. Mi sforzo di mettere insieme i pochi tasselli che ho a disposizione, ma mi rendo immediatamente conto che sono troppo pochi. “Aspetta! Se andassi lì, magari ci capirei qualcosa.. Certo! Mancano esattamente due ore prima che i miei tornino dal lavoro.. Uhm.. Forse è meglio rimandare il tutto a domani, così informo anche Erica e qualche altro compagno, se volessero venire con me sarebbe più divertente e.. mi sentirei più sicura!” sono euforica per questa bella idea, ma qualcosa ancora frena il mio entusiasmo. “Però.. Quel castello fa una gran paura.. Non so se avrò il coraggio di entrarci!”. Cerco di non pensarci, per ora e mi concentro singolarmente sui compiti che ho davanti. “ODIO LE FRAZIONI!” penso, dopo essermi soffermata per più minuti su un’operazione complicatissima. La serata vola in fretta ed è già ora di andare a dormire. Mi giro e rigiro nel letto fino a mezzanotte, poi, finalmente, mi addormento e lascio per un po’ il mondo reale.

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!

<Oh, No.. È già mattina?> sussurro, aprendo prima un occhio e poi, molto più lentamente l’altro. Spengo quel frastuono e scendo a fatica dal letto. Poi mi scuoto, ricordandomi che è il “grande giorno”, quello della spedizione! Faccio velocemente colazione e mi lavo i denti in fretta, in modo da avere il tempo di scrivere cinque bigliettini: “NON ANDARE SUBITO A CASA, DOPO LA SCUOLA! ASPETTA SOTTO CASA MIA! DEVO DIRTI UNA COSA IMPORTANTE! BY NOEMI.” Ho deciso che li avrei attaccati a un libro di Erica, Samantha, Elisa, Roberto e Kevin, i compagni di classe più simpatici. Corro a scuola nonostante manchino ancora venti minuti e trovo, come previsto, Samantha e Elisa che arrivano sempre molto presto. <Ciao, ragazze! Tenete questi!> dico immediatamente, allungando loro due dei biglietti. Li leggono attentamente e annuiscono. <Vi spiego oggi pomeriggio!> continuo, correndo via, perché ho visto arrivare Kevin e Roberto. L’ultima è Erica che arriva dieci minuti dopo. Sono tutti e cinque molto curiosi, ma non rivelo niente per non dare nell’occhio: ormai ci sono almeno una cinquantina di alunni nel piazzale e discorsi su castelli avvolti dalla nebbia non passerebbero certo per normali chiacchiere sportive!

Così mimo “dopo!” con le mani e, in quel preciso istante suona la campanella.

<Ragazzi, aprite il libro a pagine 50..> borbotta la scorbutica insegnante di matematica. “Uffa.. Speriamo che la mattinata passi velocemente, adesso non sto più nella pelle!” penso, osservando un’espressione con almeno cento numeri. Per fortuna il mio “desiderio” si avvera e le ore trascorrono piuttosto velocemente, grazie al fatto che la professoressa è chiamata ben tre volte in un’altra classe per chissà quale strano motivo. <FINALMENTE!> esulto, appena metto piede fuori dalla scuola. Approfittando del fatto che gli altri cinque sono, casualmente, vicini tra di loro, li trascino verso casa mia e spiego loro il piano. Rimangono tutti allibiti, soprattutto Erica, che mi conosce meglio degli altri e sa perfettamente che quel castello mi ha sempre dato i brividi. <Sei.. sicura?> mi chiede, infatti. <Certo! Sarà una bella avventura, non trovate? E poi se è disabitato non può sgridarci nessuno, no?> commento, anche se un briciolo di tensione è sempre presente e non sembra avere intenzione di lasciarmi. <Io ci sto!> risponde Kevin. Anche gli altri, dopo qualche secondo di esitazione, accettano. <Bene! Ho qui, dentro allo zaino, il pranzo al sacco per tutti. In più sei torce, una fune (non si sa mai..) e sei walkie talkie.> annuncio, tirando fuori l’attrezzatura e porgendo i panini al prosciutto, formaggio o salame. <Sei proprio attrezzata!> commenta Elisa, strizzandomi l’occhio e divorando il suo panino. Dopo il pranzo, durato non più di un quarto d’ora, osserviamo l’albero della “leggenda” che mi ha raccontato Erica a pochi metri di distanza. Mi faccio coraggio e mi avvicino. “Hey!” penso, notando un pezzo di lana infilato in un rametto. “Che sia.. Quella della signora? Ma no, non può essere..sarà una semplice coincidenza, ecco tutto!” scaccio via quell’assurda idea, anche se devo ammettere che la cosa mi spaventa un po’. Il castello è sempre avvolto da quella sottile nebbiolina inspiegabile. <Mi sa che dobbiamo scavalcare!> annuncia Roberto, tenendo la pila in una mano e il walkie talkie dall’altra. Si arrampica sul cancello ghiacciato. <Ma sei matto? Potresti scivolare!> esclama Samantha, spalancando gli occhi. <Tranquilli.. Sembra ghiacciato, ma in realtà non c’è traccia di neve! E’ incredibile, ma è la verità! Toccate una sbarra!> ciò che dice Roberto ci sembra un’assurdità, ma dopotutto provare non costa niente. Tocco con la mano gelata uno spuntone e avverto quasi un leggero.. Calore! <Com’è possibile..> sussurro. “Beh, non c’è tempo!” penso, scrollandomi e scavalcando il cancello. Anche gli altri mi imitano e, in men che non si dica, siamo dentro. <Una volta, ho sentito un signore parlare con un suo amico di questo castello! Per caso ho scoperto che tutti lo considerano una casa dei misteri, ovvero una casa stregata! Non sono riuscita a capire benissimo per quale motivo, ma dalla faccia cupa del signore ho capito che non deve essere niente di piacevole!> annuncia Samantha. <Già.. Anche io ne avevo sentito parlare! Dicono che ci siano addirittura degli spettri, ma sinceramente non ci credo..> ammette Roberto. Accendono le pile, perché in quel posto lugubre, nonostante sia a due passi dal resto del mondo (dove sono ancora le 14:00..), sembra notte fonda.

<Accidenti, qui è tutto così.. Spettrale!> commenta Erica, facendo leggermente tremolare la voce. <Se avete paura.. Possiamo tornare indietro!> aggiungo, che ho la tentazione di scappare da questo terrificante posto a gambe levate. <Ma no, proseguiamo! Voglio esplorarlo per bene questo castello!> risponde invece Kevin, spostando la flebile luce della pila verso la porta d’ingresso. Un corvo, tanto per “rallegrare” l’atmosfera, lancia un grido e si alza in volo appena Samantha tocca la maniglia per entrare. “Fantastico.. Proprio come nei film horror! Ma dove siamo capitati?” mi chiedo, pentendomi immediatamente della scelta improvvisa di visitare questa specie di casa stregata. La porta si apre con un leggero sibilo a un tocco di Elisa e, facendoci coraggio, entriamo in fila indiana. <Bene.. Fin qui tutto a posto, no?> sussurro, come per cercare di tranquillizzare gli altri, ma soprattutto me stessa. <S-sì..> la risposta di Samantha arriva come un soffio lontano mille anni luce. <HEY, DOVE SIETE FINITI?> urlo, appena sposto la luce della pila da un muro qualsiasi al punto in cui, in teoria, dovrebbero esserci i miei amici. Sono spariti tutti, sono da sola!

“Ok, niente panico.. Ci deve essere una spiegazione logica! Magari hanno visto una luce e l’hanno seguita, mentre io ero soprappensiero.. No, non può essere, mi sono voltata solo per qualche istante, troppo poco per riuscire a dileguarsi in questo modo!” la mente si riempie di pensieri, prima che riesca a notare un fatto molto insolito. <Un momento.. Mi sembrava che.. Qui non c’era un muro?!> sussurro sbalordita, fissando un corridoio apparso dal nulla dove prima c’era la parete illuminata dalla mia torcia. Mi volto con l’intenzione di correre via, verso la porta, ma sbatto contro.. <IL MURO!>. Ecco dov’era finito! Si era.. Spostato?! “Adesso da dove proseguo? L’unica via è questo corridoio.. Sembra una specie di via che porta a un labirinto, se mi perdo sono fritta! Ma d’altronde.. Anche se resto qui sono fritta! Quindi tanto vale tentare!”. Corro nell’unica direzione possibile e mi ritrovo in una stanzetta buia che assomiglia a un salotto. Ci sono almeno cinque quadri su ogni parete, un grande lampadario acceso, due poltrone rosse affiancate e un vecchio televisore. Sembra una stanza che risale al novecento.. Tra l’altro lo stiamo studiando proprio in questi giorni, quel periodo! Beh, è normale che sia così.. Qui ci hanno abitato centinaia di anni fa. Mi sento leggermente più a mio agio, anche perché il panorama adesso assomiglia alla casa di mia nonna, ovviamente togliendo il fatto che questo è un castello vero e proprio e che è su due piani, non come la vecchia cascina della nonna Iris. Osservo il tappeto: sembra posizionato proprio al centro della stanza, non un millimetro più a destra o a sinistra. “Erano tipi precisi..” penso, posando lo sguardo su una grande libreria, su cui ci saranno almeno un migliaio di libri vecchi, alcuni ammuffiti o ingialliti. Almeno la metà sembra composta tutta da “La Divina Commedia” da quanto sono spessi quei volumi! Mi avvicino e leggo un titolo a caso: “La Casa Stregata: le verità e le bugie”. Ironia della sorte.

<MI SENTIIIIIIIIIIIIIIIIIITE??> io non posso saperlo, ma dall’altra parte del castello sono rinchiuse Elisa e Samantha. Si sono ritrovate in soffitta, una buia, polverosa soffitta, abitata da ragnetti e topi. Non poteva esserci stanza peggiore, per Samantha! Odia tutti gli animali che assomigliano, anche solo lontanamente, a insetti o molluschi. Per non parlare degli aracnidi! Se ne vede uno è capace di svenire! Decidono di mantenere la calma e di continuare a chiamare rinforzi con il walkie talkie, perché di porte non ve n’è traccia.

C’è qualcun altro intento a far funzionare il walkie talkie. E’ Erica, chiusa al piano superiore nella stanza esattamente sopra alla mia, ma non sento alcun rumore di passi o nessun grido, come invece sarebbe logico udire. Più precisamente è in una camera da letto. C’è una scrivania alta all’incirca un metro, con sopra mille oggettini diversi. Sembra un bazar! Fermagli, carillon, matite, libricini, un blocco ingiallito, qualche spilla, bottoni, una piuma d’oca, un barattolino con una sostanza nera (probabilmente inchiostro vecchio centinaia di anni..) e numerose altre cose. Probabilmente, se non fosse stata impaurita e sola, si sarebbe incantata nell’osservare quel bellissimo “mercatino”. Lei adora gli oggetti, ha un sacco di collezioni, alcune molto ricche che lei considera tesori, che fanno invidia ai negozi più forniti!

Intanto Kevin e Roberto sono rimasti insieme. Sono tornati in giardino e la casa e scomparsa sotto ai loro occhi, nello stesso istante in cui io mi sono accorta di essere da sola. <Che cosa ci facciamo di nuovo qui? E dove sono le ragazze?> domanda immediatamente Kevin. <Non lo so.. C’è stato una specie di lampo accecante, poi mi sono ritrovato qui, come del resto tu..> risponde semplicemente Roberto, scrollando le spalle.

Ammiro, rapita, ogni singolo libro. Sono proprio tantissimi! Vorrei sedermi su una poltrona e leggerli tutti, uno ad uno. Quando ho imparato a leggere e andavo a casa di nonna Iris, sceglievo sempre un libro dalla sua vastissima raccolta di volumi di tutti i generi e mi esercitavo. Quanto mi piace leggere! Adesso, però, non c’è tempo. Corro verso l’uscita e vedo, davanti a me, una lunghissima scala a chiocciola. La salgo cautamente, avvolta da scricchiolii sinistri per ogni passo fatto e raggiungo il piano superiore. E’ solo allora che sento sia la voce di Samantha, che quella di Elisa, di Erica e quella dei ragazzi. <Kevin e Roberto a ragazze! Ci sentite? Passo!> gracchiava il walkie talkie. <Io vi sento!> rispondo, felice di avere un contatto con loro. <Anche io!> rispondono in coro le ragazze. <Dove siete? Noi di nuovo in giardino, non sappiamo come ci siamo finiti. Passo.> avverte Roberto. <Io sono alla fine delle scale a chiocciola, vale a dire all’inizio del secondo piano..> comunico. <Non saprei.. Credo di essere al secondo piano anche io, ma non ho il coraggio di guardare alla finestra per confermarvelo!> ammette Erica. <Noi siamo chiuse in soffitta! AIUTO, c’è un ragnoooo!!> urla Samantha, cedendo il walkie talkie a Elisa e correndo a rintanarsi dentro a una specie di scatolone. Mi scappa un risolino, che contagia immediatamente gli altri, perfino la “temeraria” Samantha. <Arrivo, ragazze! Passo e chiudo.> avverto, mettendo il walkie talkie in tasca e dirigendomi verso una porta a caso. Ne apro una e, fortunatamente, è quella giusta: Erica mi abbraccia come se fossi un pompiere che porta via una ragazza ferita da una casa incendiata e mi chiede come ho fatto a trovarla. <Che domande.. Ho aperto la porta e..> non riesco a finire la frase. Non c’è più alcuna porta! Non esiste più la stanza nella quale, un momento prima, eravamo! Adesso c’è solo una lunga parete e, in fondo, una scala che porta alla soffitta.

<Ok, arriviamo anche noi! Passo e chiudo!> dice Roberto, buttandosi immediatamente verso la porta. <Stiamo calmi, magari c’è qualche altra trappola..> Kevin non è tranquillo, ma decide che non può lasciarci sole, così affronta nuovamente questa stramba casa stregata.

<NOEMI! ERICA! Che bello vedervi!> siamo in soffitta e si ripete la scena: Samantha mi butta le braccia al collo, manco fossi un’eroina. <Dai, stai calma!> le dico infatti, sorridendole e osservando la sua carnagione che, lentamente, torna del suo colore originale. <Prima era bianca come un lenzuolo, soprattutto quando ha scoperto che ci sono dei ragni..> mi sussurra Elisa, guardando teneramente la nostra amica. <Usciamo di qui, prima che ci siano altre sorprese!> interrompe Erica, ma è troppo tardi: la porta dalla quale io e lei eravamo entrate è nuovamente scomparsa, imprigionandoci lì. <Oh, meraviglioso..> sussurro, in preda a una crisi nervosa.

<Ho sentito un rumore strano..> dice intanto Roberto, riferendosi al sinistro cigolio della porta scomparsa. <Anche io, ma non ho capito cos’era.. Boh, forse un topolino!> taglia corto Kevin, salendo le scale a chioccola per raggiungere la soffitta. <Hem.. Le ragazze non avevano parlato di QUESTO.. Vero?!> la voce del ragazzo, che ha preceduto Roberto, è tremolante. <Che cosa?> chiede l’amico. Ma non c’è bisogno che dica niente. Appena Roberto gli è accanto e vede lo strano e spettrale spettacolo diventa bianco di paura. C’è un lunghissimo corridoio con almeno cinque lampadari che vanno su e giù, ripetutamente, come in una strana danza. In più le porte, situate alternativamente a destra o a sinistra, sbattono e cigolano. Una risata agghiacciante non dà loro il tempo di scegliere se proseguire o scappare a gambe levate. Si ritrovano direttamente in soffitta, accanto alle amiche. <Ma come..> inizio io, vedendoli apparire alla mia destra. Kevin scrolla le spalle e Roberto alza le mani, segni che fanno immediatamente capire che loro non ne sanno più di noi.

<Ok, di qui non si esce.. Che si fa?> domanda Erica, avvicinandosi cautamente alla finestra. Sotto vede il vuoto abissale: solo nebbia. <Forse se legassimo la corda a qualcosa e scendessimo dalla finestra..> ipotizza Roberto, ma a me non pare una grande idea. <Impossibile, per due motivi: primo, la corda non è tanto lunga da arrivare fino a terra (o anche solo a una misura da cui si possa saltare). Secondo.. Non sono brava ad arrampicarmi sulla corda! E che io sappia neanche loro..> termino, indicando le mie amiche. Queste ultime annuiscono.

Decidiamo di aspettare: qualcosa dovrà pur succedere! Infatti, appena dieci o forse quindici minuti dopo, sentiamo un’altra risata, simile a quella udita da Roberto e Kevin. Questa volta, però, ha un suono più roco.. La voce sembra maschile. <Chi va là?> chiedo, con voce tremolante.

<Perché siete venuti in questo castello?> domanda qualcuno, questa volta una voce femminile.

<Non volevamo disturbare nessuno.. Credevamo fosse disabitato e..> azzarda Samantha, ma l’uomo la interrompe. <Non è disabitato! Insomma.. Non esattamente.> mormora, infatti.

D’un tratto sentiamo qualcuno singhiozzare. <Siamo gli spettri della coppia che, un tempo, ci viveva.> spiega la donna, tra una lacrima invisibile e l’altra. Appena sento questa notizia mi vengono i brividi. <Che cosa è accaduto?> domando. L’uomo fa un respiro profondo, poi una luce argentata investe un angolo della stanza e appaiono due corpi, apparentemente normali. <Ecco, questi eravamo noi più di cento anni fa..> rivela la donna. Erano bellissimi e lei portava lo stesso gilet del giorno in cui è scomparsa (o almeno credo.. È rosso e ha, su un fianco, due o tre fili tirati..).

Siamo spaventati ma allo stesso tempo affascinati. Ci sediamo per terra, in silenzio, ad aspettare tutto il racconto. <La verità è che noi siamo sempre stata una piccola famiglia molto particolare. Non credevamo particolarmente alle leggende, ma ci sono sempre piaciute. Così, appena abbiamo saputo che su questo castello circolavano voci strane (maledizioni e spiritelli, per di più) siamo corsi a comprarlo. E’ stato il più grosso errore della nostra vita. Una maledizione c’era davvero. Eravamo obbligati ad uscire a una determinata ora e rientrare ad un’altra, senza poi poter più mettere naso fuori. Se tardavamo di un minuto.. Allora per noi sarebbe finita. Tra l’altro qui ci sono tutti gli spiriti delle persone che, prima di noi, hanno voluto venire ad abitare qui. Alcuni di loro sono malvagi e, due in particolare, si divertono a fare scherzi sciocchi ai ragazzini come voi che, spinti dalla curiosità, vengono a vedere che cosa si nasconde in questo castello. Ma dovete stare attenti! Se rimanete qui più di ventiquattro ore, farete la nostra stessa fine e sarete costretti a rispettare i nostri stessi orari per tutta la vita! Anche dopo la vostra morte, naturale o non, sarete per sempre rinchiusi qui dentro.> racconta l’uomo. <E’ orribile! Continuate, cos’è successo di preciso quel giorno?> chiede Elisa. <Beh.. Quel giorno ho avuto la sciocca idea di raccogliere, lungo la strada, una mela da quell’albero. Già, un tempo era rigoglioso e dava buonissimi frutti, non come adesso che è vecchio e rinsecchito. Non l’avessi mai fatto. Sono rimasta impigliata lì e, nonostante tutti i nostri sforzi, non siamo riusciti a liberare il mio gilet. Ecco com’è andata.> termina sconsolata la donna, sul punto di rimettersi a piangere. <E’ una storia tristissima. Non possiamo fare nulla per voi?> chiedo, sperando con tutto il cuore che la risposta sia “si”. <Veramente.. Una cosa potreste farla! Sareste davvero gentili e vi saremmo eternamente riconoscenti!> si illumina l’uomo.

<Se riusciamo con grande piacere!> accetta per tutti Kevin.

<Innanzitutto dovete uscire da questo castello, ma non sarà un problema: possiamo aiutarvi noi. Poi dovete trovare il modo, entro le 12:00, di tagliare via, comprese le radici, l’albero in cui mi sono impigliata. Se riuscirete in questa impresa, saremo tutti liberi di uscire di qui. Alcuni che sono morti per colpa di questa maledizione, come noi, potranno tornare a vivere. Altri che sono diventati spettri per altre ragioni potranno, finalmente, riscoprire la libertà. Ma dovete fare in fretta: forse non ve ne siete accorti, ma è passato molto tempo da quando siete entrati in questo castello. Sono già le 11:00!> esclama la donna. Noi cinque non possiamo credere alle nostre orecchie. Com’è possibile? <Beh, adesso uscite da quella porta e cercate un modo per distruggere l’albero!> termina l’uomo, indicando una piccola porticina appena apparsa. <Certo!> esclamiamo in coro, colmi di gioia. Non solo possiamo uscire, ma abbiamo anche il modo di aiutare quelle povere persone.

<Credi che ce la faranno? Molti hanno già tentato e altri, dopo questa promessa, sono fuggiti senza neanche provarci..> ricorda a capo chino la donna. <Loro mi sembrano ottimi ragazzi. Vedrai, è la volta buona!> la rassicura il marito, abbracciandola.

<Siamo fuori!> esulto, correndo verso il mondo reale. Adesso, intorno a noi non c’è più nebbia ma un bel sole caldo che sta lentamente sciogliendo la neve. Ci fermiamo tutt’intorno all’albero. <Sembra più secco del solito..> commenta Samantha, toccando un rametto. <Come facciamo a toglierlo? Poi, le radici.. È impossibile!> commenta Roberto, osservandolo come se lo vedesse per la prima volta. <No, non è impossibile.. Ma è difficile!> lo correggo io, abbozzando un sorriso.

<Chissà com’è andato il compito in classe..> mormora invece Elisa, distraendosi un attimo. <Ma ti sembra il momento di pensare alla scuola?!> la rimprovera Erica, mettendosi le mani sui fianchi.

<ELISA, SEI UN GENIO!> esclamo, invece, io. <Hem.. Grazie.. Perché?> chiede lei, confusa. <Su che argomento era il compito di scienze?> domando. <Beh.. Sulla natura.> risponde Roberto. <Esattamente. E abbiamo studiato che gli alberi, per vivere, hanno bisogno della fotosintesi clorofilliana. Che cosa serve per far sì che la fotosintesi avvenga?> chiedo ancora. <Serve la luce del sole e la.. LA LINFA!> esclama Samantha, che ha capito dove voglio arrivare. <Giusto! Per cui.. Cosa succederà se priviamo questo albero della linfa?> continuo, sorridendo. <L’albero morirà! Certo! E’ già secco, quindi non ci vorrà molto!> termina Kevin, raggiante. <Mettiamoci al lavoro! Dobbiamo forare in qualche modo le radici, così acqua e sali minerali non passeranno più e la linfa grezza non potrà salire verso il tronco!> spiega Erica, mettendosi a scavare nella neve a mani nude. <Ma dobbiamo fare in fretta! Manca un quarto d’ora!> avvisa Elisa, aiutando l’amica insieme a tutti noi. Scaviamo freneticamente e, finalmente, troviamo la terra. <Coraggio, non deve mancare molto!> aggiungo, quando ormai mancano si e no cinque minuti. E’ una vera e propria corsa contro il tempo, ma sappiamo che abbiamo le carte per vincerla. <ECCOLE!> esultiamo, toccando qualcosa di duro. <Non sarà una passeggiata farci un buco! Sono ancora belle spesse!> commenta Samantha. <Aspetta.. La corda! Potremo legare le radici e poi tirare, tutti insieme, l’altro capo! Così si dovrebbe sradicare dal terreno!> propongo. Siamo tutti d’accordo, così leghiamo velocemente la corda a tre o quattro radici, facendo nodi belli spessi e tiriamo con tutte le nostre forze. Tiriamo, tiriamo, tiriamo e tiriamo.. Poi sentiamo un “CRICK”, simile a un vaso di cristallo che và in frantumi. Non crediamo ai nostri occhi: l’albero sta… andando in pezzi! Proprio la fine che fanno, a volte, i piatti di casa mia..

<Ce l’abbiamo fatta!!!> gridiamo, colmi di gioia. Piano piano la nebbia intorno al castello si dirada e una folla di gente esce, urlante, dal castello. Altrettanti spiriti, liberi da quello che sembrava un eterno maleficio, volano di qua e di la, come impazziti. <GRAZIE!> urlano tutti in coro, mentre assaporano il piacere di essere di nuovo vivi.

<Noemi, Noemi!> una voce mi chiama, ma non capisco da dove viene.

Apro gli occhi. Sono sdraiata in camera mia, sul mio letto. “No.. Non può essere..” penso, sbarrando gli occhi e sedendomi di scatto. <Sveglia, dormigliona! E’ ora di prepararti per la scuola!> mi annuncia mia madre dalla cucina. <Si, arrivo!> rispondo. “No, sono convinta che non sia stato un sogno.. Era troppo reale!” continuo a ripetermi, ma per quanto cerchi segni di realtà in quella bizzarra situazione, non ne trovo. Eppure, se solo mi affacciassi alla finestra, noterei non solo che il castello non è più avvolto nella nebbia e che il famoso albero rinsecchito non c’è più.. Ma anche che c’è una bellissima coppia che, ridendo, osserva compiaciuta tutta la scena.

Gaia Bigoni